Come sono cambiati gli sponsor di maglia dall’inizio anni ’90 ad oggi?
Da aziende alimentari locali alle multinazionali: l'evoluzione delle sponsorizzazioni è totale
07 Agosto 2019
Come sarebbe il mondo del calcio senza gli sponsor sulle maglie? Facciamo talmente fatica ad immaginarlo, nel 2019, che forse è meglio lasciare perdere la questione, anche se qualche giorno fa quelli di Joe.co.uk si sono immaginati un po' come sarebbe davvero, un vero e proprio shock. L'invasione dei marchi è praticamente inarrestabile, visto che ormai in Italia siamo abituati a vederli dappertutto: sulle maniche, nel retro delle maglie e sui pantaloncini, proprio come accade già da tempo nel campionato giapponese o in quello francese, dove le casacche sono davvero tappezzate da badge diversi. Ad esempio, avete letto dei 10 sponsor sulla maglia dello Chambly, necessari per la sopravvivenza del piccolo club transalpino? Tutto il contrario delle maglie 'vergini', quelle che era più frequente vedere qualche anno fa ma che ormai sono una vera rarità.
A proposito di sponsor, su Twitter ci siamo appena imbattuti in un'infografica molto interessante pubblicata dall'account di Classic Football Shirts: il portale inglese leader mondiale nella vendita delle maglie da calcio ha comparato, infatti, la situazione degli sponsor in Premier League nella prossima stagione, la 2019/2020, rispetto a quella del 1992/1993, l'anno zero della massima serie anglosassone. La differenza, ovviamente, è abissale: quello che salta subito agli occhi è la massiccia presenza delle betting companies (quasi tutte straniere, oltretutto), che sponsorizzano il 50% dei club. Un dato che non ci sorprende affatto, visto che a tal proposito ne avevamo recentemente parlato sia in occasione del caso della campagna di Paddy Power per l'Huddersfield Town che anche quando abbiamo analizzato i profitti delle squadre di Premier derivanti dai contratti di sponsorizzazione. In Italia non è più possibile vederli: è quello che è stato regolamentato dal cosiddetto 'Decreto dignità' che entrerà in vigore l'8 agosto e che terrà lontane, di fatto, le sponsorizzazioni di betting e gioco d'azzardo da tutte le manifestazioni calcistiche e che, tra le tante cose, ha costretto la Roma a rinunciare ad un ricco contratto con Betway e la Lazio a concludere il rapporto con il main sponsor Marathonbet.
Il diaframma a torta è un'immagine inequivocabile, e ci ha immediatamente portato a pensare a cosa accadeva in Italia: sono passati quasi 30 anni da quel campionato vinto dal Milan, in cui Beppe Signori (al suo primo anno di Lazio) vinceva la classifica dei cannonieri mentre il Parma arrivava davanti alla Juventus. I protagonisti si chiamavano Savicevic, Vialli, Zola, Gascoigne e Schillaci e Marcello Lippi allenava ancora l'Atalanta. Ma soffermiamoci sugli sponsor di maglia, la stragrande maggioranza dei quali sono aziende alimentari italiane che hanno reso alcuni kit epici grazie a partnership indimenticabili: quella della Roma con Barilla, quella della Juventus con Danone, quella del Milan con Motta e quella del Napoli con Voiello, per fare qualche esempio. Spesso infatti è proprio grazie agli sponsor che ci siamo affezionati ad una maglia invece che ad un'altra, condizionati in un modo o nell'altro dalla scritta messa in bella mostra, sul petto: un segno distintivo molto più potente dei dettagli intrinsechi come il colore o la tipologia del colletto. La lista è praticamente infinita, e decisamente soggettiva: ci ricorderemmo ancora della maglia del Napoli se non ci fosse stato lo sponsor Mars o di quella dell'Inter senza lo scritta Misura?
Un trend, quello delle aziende locali che prestavano il proprio nome alle squadre di Serie A, che è andato sempre più a scemare fino ai giorni nostri. Dall'ingresso sulla scena di grandi colossi internazionali come Sony (Juventus) e Opel (Milano) fino ai giorni nostri è un attimo: nella Serie A 2019/2020 solamente due squadre avranno sulle proprie maglie delle aziende produttrici di bevande come main sponsor, rispettivamente il Cagliari con la birra locale Ichnusa e il Napoli, con l'acqua Lete. Il resto invece è suddiviso in maniera abbastanza omogenea tra aziende automobilistiche e affini (oltre a Jeep, Dacia e Suzuki, c'è lo storico partner dell'Inter, Pirelli) e aziende del settore terziario di ogni genere; le società straniere sono pochissime, mentre la categoria più rappresentativa è quella composta dalle cosiddette compagnie di viaggio: Milan e Roma, infatti, sono legate a grosse società come Qatar Airways e Fly Emirates, mentre le due neo-promosse Lecce e Verona sono affiancate da due aziende locali: Moby Lines e Air Dolomiti. Praticamente estinta del tutto, possiamo dirlo, la fattispecie della 'squadra di calcio del presidente', ovvero quando il club diventa l'asset principale, o secondario, dell'azienda del proprietario, organizzata a conduzione familiare: delle situazioni del genere si verificano solamente in provincia nel caso emblematico del Sassuolo del presidente Squinzi, a capo di MAPEI, e in parte anche per quanto riguarda SPAL e Atalanta, le due squadre che riflettono gli interessi dei due patron, Mattioli e Percassi.
Sono principalmente gli introiti degli sponsor che danno la vera dimensione della forbice che c'è tra le squadre dello stesso campionato, sempre più ampia anno dopo anno. Se Jeep versa nelle casse bianconere qualcosa come 18 milioni di Euro a stagione, le dirette concorrenti non stanno a guardare, anzi: nel 2014 il Milan ha siglato un contratto di 100 milioni in 5 anni con la compagnia aerea Fly Emirates, mentre la Roma dopo essere stata per anni senza sponsor sulle maglie ha firmato con il colosso dell'aviazione Qatar Airways un triennale da circa 40 milioni di Euro complessivi. L'Inter ne prende oltre 10 da Pirelli, ma c'è da considerare pure una cifra praticamente simile incassata da Suning: tra i guadagni totali i grossi club infatti non si limitano ai main sponsor ma riescono a ottenere grosse somme anche da sponsor meno rilevanti, co-sponsor e sleeve sponsor, una novità degli ultimi anni. Un esempio eclatante è quello del Napoli, che somma MSC Crociere e Kimbo a Lete.
La differenza con la massima serie anglosassone, però, rimane enorme: anche stavolta le grafiche di Classic Football Shirts sono provvidenziali in tal senso ed evidenziano l'abisso che c'è non solo tra il campionato di Serie A e la Premier League ma anche il gap interno tra le venti squadre inglesi, e ancora più precisamente tra il Manchester United (64 milioni di sterline) e il Brighton (appena 1,5). In Italia però è praticamente impossibile risalire a dati precisi, visto che molti accordi sono recenti e per nulla trasparenti: con tutta probabilità in Serie è il neo-promosso Lecce ad occupare il ruolo di fanalino di coda di questa speciale classifica: i giallo-rossi, che come fornitore tecnico si sono affidati ad un home made brand come M908, un anno fa percepivano appena 250 mila euro a stagione da Moby Lines, una cifra che è stata solo leggermente rimpinguata in seguito alla promozione in massima serie e che si avvicina a quella percepita dall'Empoli lo scorso anno, 500 mila euro grazie alla partnership con Computer Gross.