Il calcio indossato di Kappa
La storia di Kappa, fatta di intuizioni, aerei spaziali e fazzoletti di carta
10 Gennaio 2019
È il Maglificio-Calzificio Torinese di Abramo Vitale il luogo da cui nasce la storia di Kappa, uno dei marchi più iconici della storia dello sport mondiale. Ma anche dalla capacità di sapersi buttarsi con intuizione dentro ai turning point che hanno poi determinato la fortuna del marchio e cambiato l’estetica dello sportswear. L'azienda non ha mai abbandonato la città di Torino, costruendosi un'identità futuristica e visionaria negli anni '80, evoluta negli anni recenti fino ad incarnare la fortunata, in campo stilistico-calcistico, antitesi tra nostalgia e tecnologia, senza tuttavia tradirsi al di fuori dei confini della sua mission.
Kappa e il calcio hanno un rapporto speciale, per il fatto di aver incarnato, a partire dagli anni '80 e più compiutamente negli anni '90, l'estetica del calcio, vestendo alcune delle squadre più vittoriose a livello europeo come Milan, Juventus e Barcellona, diventando simbolo estetico di una decade di imprese sportive.
Kappa in Serie A
Uno di questi momenti di svolta cade nel 1956, quando, dopo un errore di fabbricazione, i clienti restituirono un intero stock di calze, l’azienda a quel punto decise per non perdere credibilità di etichettare tutte le nuove produzioni come K-Kontroll. Nel giro di due anni tutti vollero le nuove linee di biancheria del marchio, che nel 1969 trovò il modo per consolidare la sua immagine. Dalla capacità immaginativa di Maurizio Vitale nacque il logo Omini, una silhouette semplice e visivamente efficace che da quel momento comparirà su tutte le linee prodotte da Kappa.
Il secondo momento decisivo in questa storia è nel 1978 quando Marco Boglione, giovane direttore commerciale e marketing del Maglificio Calzificio Torinese, convince Maurizio Vitale - amministratore delegato dell’azienda - a istituire una divisione sportiva della già avviata attività Robe di Kappa, più tardi denominata solo Kappa. La proposta fu accolta, Vitale, dopo un viaggio a New York, si convinse che lo sportswear potesse essere il nuovo jeans. Kappa iniziò a sponsorizzare inizialmente Cabrini, esordiente al mondiale di Argentina, poi Tardelli, entrambi simboli della squadra più prestigiosa d'Italia all'epoca. L’anno seguente si intravise la possibilità di successo del progetto, i limiti di una anonima sponsorizzazione furono abbattuti e la coppia Vitale-Boglione si presentò da Giampiero Boniperti, all'epoca presidente della Juventus, proponendogli di mettere gli omini sulle divise bianco nere. Il presidente inizialmente non capì il significato della proposta e fu l'amministratore delegato Giuliano a convincere Boniperti a chiudere l'affare. Kappa avrebbe realizzato le maglie di campioni come Zoff, Bettega e Scirea. Nel 1979 la Lega Nazionale Professionisti autorizzò le squadre italiane a mostrare il marchio dello sponsor tecnico, che venne collocato sulla parte destra della divisa, sui pantaloncini e sui calzettoni, una svolta sensibile se si pensa al calcio d'oggi. Un evento seguito nel 1981 dalla liberalizzazione delle sponsorizzazioni commerciali, che permise l'esposizione di marchi pubblicitari nella parte frontale della maglia.
Direzione Marte
L’immagine delle divise cambia, ma questo è il frutto di un’analisi solamente superficiale di ciò che in reatà è stato un cambiamento epocale nel processo di miglioramento del gesto sportivo in generale. La collaborazione di Kappa aveva come obbiettivo infatti quello di lavorare con club non solo a livello superficiale ma per migliorare le prestazioni sportive, una completa novità, per superare i tradizionali tessuti in lana che limitavano la spettacolarità dell'azione.
In un bar di New York Maurizio Vitale strappò una sponsorizzazione da un milione di dollari per la squadra di atletica leggera americana, l’asticella era stata definitivamente alzata, la nazionale di Carl Lewis e Edwin Moses avrebbe vestito la banda 222 alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. La sfida di Kappa si spostò sul piano dei tessuti e l'aiuto alla NASA, che contribuì a progettare materiali sempre più performanti, per riparare gli atleti dai raggi del sole e che mantenessero stabile la temperatura corporea. Gli atleti statunitensi vinsero 40 medaglie solamente nell’atletica, 28 in più della Germania Ovest, seconda del medagliere. Attirò l’attenzione una speciale tuta con cappuccio, che assottigliava le forme del corpo favorendo l’aerodinamicità durante la corsa. Di colpo i tessuti passarono in primo piano e le nuove tecnologie rappresentarono una nuova possibilità di impresa per i marchi sportivi.
Lo sport capì che guardare al presente non bastava più, lo sguardo si proiettò verso il futuro e la tecnologia delle divise cambiò notevolmente, trainata soprattutto dalle novità proposte da Nike negli anni seguenti. All’interno di un mondo che era decisamente più concorrenziale rispetto a quello del 1984, Kappa trova un nuovo turning point.
Una nuova pelle
Il sogno di Robe di Kappa Sport era quello di sponsorizzare la nazionale di calcio italiana e cercare una nuova espressione di tecnicità. L’occasione si creò dopo la fine del contratto di sponsorizzazione di Nike alla nazionale, durante i mondiali di Francia ‘98. A Emanuele Ostini venne l’idea di ispirarsi al mondo del surf e alle sue maglie completamente slim, e stravolgere così il fit classico delle tradizionali divise, svolazzanti, oversize ed elaborate nel design.
L’obbiettivo che mosse il progetto fu ancora quello di aiutare la performance sportiva. Si voleva dare al giocatore 50 cm in più di azione in area di rigore, sfruttando una nuova elasticità del tessuto, una chance in più per i giocatori, oltre che un modo per accentuare agli occhi degli arbitri le trattenute. La nuova maglia Kombat scolpiva il corpo dei calciatori e, adattandosi al fisico, si creava una sorta di personalizzazione unica. Gli occhi della stampa cadderò sull’Italia durante Euro 2000, quando esordì ufficialmente il nuovo modello. Bruno Pizzul in telecronaca si mostrò entusiasta del “bel colore azzurro, quello di una volta” di una maglia che non presentava sponsor ma solo lo stemma della nazionale, i numeri di maglia e gli omini di Kappa. La Nazionale di Dino Zoff arrivò in finale e l’interesse per la Kombat fu totale.
Il riconoscimento al lavoro innovativo svolto del centro ricerca e sviluppo di Kappa arrivò al termine della competizione, quando Ian Todd, all’epoca responsabile marketing di Nike, chiamò personalmente Marco Boglione complimentandosi per il progetto e non nascondendo la sincera invidia per non essere riuscito a pensare prima a quel concept così efficace.
Da Totti e il suo cucchiaio a Van der Sar sono passati ormai 20 anni e Kappa ha applicato il modello della Kombat anche per il rugby, lo sci ed il tennis. Gli altri brand di sportswear non hanno potuto che intraprendere la stessa strada battuta dal marchio italiano.
Kappa apre il suo archivio
La società ora è in mano a Marco Boglione, il quale ha salvato gli omini da un fallimento nel 1994. Fa parte del gruppo BasicNet, un network globale di 400 imprenditori in tutto il mondo che garantisce in oltre 120 mercati la presenza e la diffusione dei prodotti a marchio Kappa, Robe di Kappa, Jesus Jeans, Superga, K-Way, Sebago, Sabelt. Dopo 60 anni è stata rilanciata anche la collezione K-Kontroll, che riconosce il passato con una visione street, attingendo all’archivio come modo per consolidare la tradizione, contaminandola solo quando necessario e seguendo un'estetica precisa e coerente. Il mondo della moda, così come quello del calcio, negli ultimi anni hanno riscoperto l’heritage di Kappa e il fascino dell’ingrediente nostalgico.
Proprio per soddisfare quello che sembra un diffuso bisogno di malinconia, in collaborazione con il team di nss sports Kappa ha organizzato, durante l'edizione di White Street Market che si terrà a Milano questo weekend, la mostra “KAPPA – Above the football jersey”, in cui saranno esposte 15 maglie simbolo degli anni ’80 ’90 e 2000. Dalla maglia di Ronaldo il Fenomeno del Barcellona a quella di Van Basten dell’88/89 e di Zinedine Zidane alla Juventus. Il Santo Graal per gli appassionati del calcio retrò.
“Noi possiamo essere bravi, intelligenti, simpatici, divertenti, usare le tecnologie am non bisogna mai dimenticarsi che è una battaglia. Kombat potrebbe essere un po’ la sintesi del BasicNet, nel nome ci sta un pezzo di nostro DNA, noi combattiamo.” (M. Boglione)