La strana storia della Supercoppa Italiana
Nata con l’idea di esportare il calcio italiano, è passata per partite imbarazzanti e casi internazionali
15 Gennaio 2019
Fin dal 1908 in Inghilterra si gioca la FA Community Shield, trofeo che mette di fronte la squadra vincitrice della Premier League e quella della FA Cup. É ispirandosi a questa competizione che nasce nel 1988 la Supercoppa Italiana.
Era una sera di inizio estate ed al tavolo di un ristorante calabrese di Milano dove erano soliti riunirsi erano seduti i membri del “Cerchio Blu”, prestigioso ed elitario circolo di tifosi della Sampdoria. Sette giornalisti, un calabrese ex juventino ed il socio onorario Paolo Mantovani, allora presidente dei blucerchiati. Fu proprio a quest’ultimo che Enzo D’Orsi, che all’epoca scriveva per il Corriere dello Sport, propose di giocare una finale con la vincente dello scudetto, dopo che la Samp aveva vinto la Coppa Italia. Da un circolo che aveva come missione la diffusione della storia Doriana nasceva così la competizione che ha avuto, anche se con scarsi risultati, l’ambizione di trasmettere anche la tradizione del calcio italiano attraverso le proprie squadre migliori.
La concomitanza con i Giochi Olimpici di Seoul ferma l’evento ancora prima della sua partenza, che venne posticipata all’anno successivo: nel 1989 si disputarono due finali ed entrambe furono perse dalla Sampdoria, la prima contro il Milan a maggio e la seconda contro l’Inter in inverno. La Coppa era nata con delle ottime intenzioni, dimostrate anche dal gesto di donare i soldi provenienti dai diritti tv della prima edizione al Giarre che allora militava in Serie C. Ma fin dall’inizio l’entusiasmo relativo all’evento si dimostra davvero basso: meno di trentamila spettatori totali nelle finali al Meazza non furono per niente un bello spot per il calcio italiano.
L’esportazione all'estero
Fu solamente un caso che le prime due edizioni si giocassero nello stadio di casa: San Siro venne scelto perché Milano era sede della Lega Calcio ma già dal 1991 si decise di disputare la finale di diritto nello stadio dei vincitori dello scudetto.
La tradizione durò poco: dopo che Maradona per il Napoli, Mancini per la Sampdoria e Baresi per il Milan sollevarono il trofeo nel proprio stadio, per l’edizione 1993 si decise di portare la competizione all’estero. La scelta, presa congiuntamente dal presidente della Lega Nizzola e dai due club, Milan e Torino, era dettata dalla volontà di ricercare nuovi sbocchi ad una crisi che aveva investito il calcio italiano in quegli anni. L’anno successivo si sarebbero svolti i mondiali di calcio in USA e, anche per pubblicizzare l’arrivo del soccer nel paese a stelle e strisce, si scelse Washington come sede della finale. Un miliardo di lire a testa per le due finaliste, Milan e Torino, era il ricco premio al quale non si potè rinunciare in un periodo di crisi del calcio italiano. Lo scarso interesse che già in USA avevano per i futuri mondiali non si trasformò certamente per una Supercoppa giocata un sabato pomeriggio di agosto: i venticinquemila tifosi allo stadio occupavano meno della metà dei seggiolini e la tv via cavo trasmettè la partita in differita, una settimana dopo. La prima esperienza all’estero, al di là dei premi economici che vennero incassati dai due club, si rivelò un flop.
Nel 1995, dopo tre successi dei rossoneri (nessun’altra squadra ha eguagliato un filotto di successi così lungo), nell’albo d’oro si scrisse il nome di una nuova squadra: Juventus e Parma avevano dominato il calcio italiano ed europeo e l’assegnazione della Supercoppa di quell’anno aveva diversi motivi di interesse sul campo, ma viene più ricordata per gli antefatti fuori dal terreno di gioco.
Memore dei contratti faraonici degli anni precedenti, il presidente Nizzola si mise a girare il mondo alla ricerca di una sede: secondo gli articoli dell’epoca si provò a giocare la competizione già a Dubai che, se oggi rappresenta una scelta abbastanza banale, non lo era oltre vent’anni fa. La ricerca ripiegò misteriosamente su piccole-medie città italiane come Palermo e Terni, prima di ricadere sul Delle Alpi di Torino, scegliendo quindi lo stadio della squadra scudettata. Che, per la prima volta quell’anno (in totale è successo sette volte nella storia e accadrà anche quest’anno) era anche la vincitrice della Coppa Italia: da regolamento, la sfidante della Juventus sarebbe stata l’altra finalista di coppa, il Parma, ma questa situazione un po’ strana non venne accettata da tutti, come Del Piero che la definì:
“La partita che avremmo già vinto. Come confronto è un assurdo: abbiamo vinto sia il campionato che la Coppa Italia, dovremmo giocare contro noi stessi. Perciò perderlo ci brucerebbe due volte”.
Fu l’ultima volta in cui trofeo venne assegnato nell’anno successivo a quello di elezione: la scelta ricadde su mercoledì 17 gennaio 1996 alle ore 20.45, dopo la messa in onda di Striscia La Notizia poiché allora la partita era trasmessa da Mediaset, che giudicava i palinsesti televisivi più importanti dell’evento. La data della partita non andava per nulla incontro alle esigenze dei tifosi che in una serata fredda e nebbiosa furono poco più di 5mila. La Juventus sollevò per la prima volta la coppa che solo otto mesi dopo passò alla Fiorentina: i Viola trionfarono nell’edizione del 1996 diventando la prima squadra della storia non vincitrice dello scudetto ad aggiungere il trofeo in bacheca.
L’anno successivo la coppa torna ai bianconeri e nel 1998 nell’albo d’oro si inserisce nuovamente la squadra vincitrice della Coppa Italia: la Lazio trionfò contro la Juventus. Perdere in un trofeo considerato marginale non è di per sé un male, ma lo diventa se si perde malamente: Inzaghi lascia la squadra in dieci a metà del secondo tempo e la Lazio sovrasta così i bianconeri che disertarono la premiazione, alla quale si presentarono sei volontari tra i giocatori per salvare almeno l’immagine.
Anche l’anno successivo la finale verrà decisa da un gol nei minuti di recupero: l’ultima edizione del ventesimo secolo vede trionfare il Parma.
I primi anni 2000, la Libia e gli Stati Uniti
Il 2000 è l’anno che ridà speranza ad un trofeo che fino ad allora aveva portato allo stadio meno spettatori di una partita di Serie C: la sfida tra Lazio e Inter è stata un grande spettacolo per gli oltre settantamila tifosi giunti all’Olimpico che vedranno trionfare la Lazio per 4 a 3.
Dopo l’edizione del 2001 vinta dalla Roma nel 2002 la Supercoppa viene disputata a Tripoli: la scelta ricadde sulla capitale libica poiché il figlio del colonnello Gheddafi, Saadi Muammar, è un grande appassionato del calcio italiano e all’epoca era azionista di minoranza della Juventus, in quanto possedeva il 7,5% delle azioni del club. Le due squadre, i giornalisti e i dirigenti della Lega Calcio rimasero all’aeroporto di Malpensa oltre 4 ore prima di imbarcarsi su un volo misteriosamente in ritardo, per cause sconosciute. La partita rischiò lo slittamento a data da destinarsi ma si disputò poi regolarmente in uno stadio gremito e la Juventus trionfò sul Parma con una doppietta di Del Piero.
Il progetto di esportare il calcio all’estero sembrava tornare nelle intenzioni della Lega Calcio che fece disputare la competizione fuori dal territorio nazionale anche l’anno successivo. Nel 2003 è stato il Giants Stadium di New York ad ospitare la finale che migliori squadre in campo non avrebbe potuto avere: Juventus e Milan si affrontarono in una partita che fu la riedizione della finale di Champions League. L’edizione fu l’unica con la presenza del silver goal: se una delle due squadre fosse riuscita a chiudere il primo tempo supplementare in vantaggio, si sarebbe aggiudicata direttamente il trofeo senza bisogno di disputare anche i rimanenti 15 minuti. Il Milan fu ad un passo dopo aver segnato al minuto 105 un rigore con un cucchiaio di Pirlo ma Trezeguet riuscì a pareggiare nel terzo minuto di recupero. I bianconeri vinsero la Supercoppa ai rigori e si portarono a casa un trofeo che non basta però come totale rivincita.
Il ritorno in Italia
L’edizione nel 2004 sarebbe dovuta tornare a Tripoli, con contratti già firmati e soldi già incassati dai due club: per la Lazio, che all’epoca rischiava il fallimento, i trecentomila euro di introiti erano molto importanti per salvare il club. Ma, a presentazione avvenuta e meno di un mese prima dal calcio di inizio, la Lega Calcio fu costretta ad annullare la trasferta per problemi di sicurezza: gli attentati a Nāṣiriya e le minacce di Al Qaeda all’Italia rappresentavano un rischio troppo alto per portare in Libia le due squadre, soprattutto il Milan che era di proprietà del Presidente del Consiglio Berlusconi. La tripletta di Shevchenko che permise al Milan di vincere per la quinta volta il trofeo rimane ancora oggi l’unica segnata in una finale della competizione.
La Supercoppa del 2005 ha visto l’Inter di Mancini, alla prima di sette finali consecutive, trionfare contro la Juventus: un gol dopo 120 minuti allo spasmo di Veron, al suo ritorno in Italia, regala il trofeo ai neroazzurri.
Dal 2006 al 2008 la Supercoppa sarà un affare tra Roma e Inter: la finale più emozionante fu la prima, giocata a San Siro, nella quale la Roma, dopo essere passata in vantaggio di tre reti, viene rimontata e superata da un gol di Luis Figo nei supplementari.
L’anno successivo Spalletti guiderà i giallorossi alla rivincita, grazie ad un rigore di De Rossi, mentre la terza finale consecutiva tra le due squadre si decise ai rigori, che portarono il primo trofeo dell’Inter targata Jose Mourinho.
La competizione vola in Cina
Il 2009 sarà ricordato per la prima avventura del calcio italiano in Cina. L’8 agosto, nello stadio che l’anno prima aveva ospitato le Olimpiadi, si contendono il trofeo Inter e Lazio. Giocare a Pechino fu un importante segnale dell’interesse cinese per il calcio italiano: tanti soldi come premi, circa 5 milioni di euro, un campo non in perfette condizioni ma anche poca cultura calcistica. La Lazio, dopo aver sentito i cori inneggianti a Totti poiché i tifosi cinesi non avevano riconosciuto la differenza tra le due squadre della Capitale, trionfa a sorpresa contro l’Inter che di lì a poco sarebbe andata a prendersi il Triplete.
Nel 2010 i nerazzurri tornarono a vincere la Supercoppa, battendo la Roma a San Siro.
Nel 2011 si torna a Pechino: i 6 milioni che i club ricevono sono un premio a cui difficilmente si rifiuta. Inoltre le due finaliste, Milan e Inter, possono contare su un numero di tifosi sempre più alto nel Sol Levante e la finale rappresenta un’importante vetrina e regala ad entrambi grandi quantità di marketing. La consapevolezza dei tifosi cinesi rispetto a due anni prima è cresciuta: all’allenamento dell’Inter un cinese viene sorpreso con la tuta rossonera e solo le forze dell’ordine evitano il peggio. Il primo derby nella storia di una finale di Supercoppa Italiana viene deciso dai gol di Ibrahimovic e Boateng che, rispondendo a Sneijder, riportano il trofeo nella bacheca rossonera 7 anni dopo l’ultimo successo.
L’avventura cinese continua anche l’anno successivo: sul prato dello Stadio Nazionale di Pechino si affrontano Napoli e Juventus. Sulla panchina bianconera sedeva Massimo Carrera e non Antonio Conte, squalificato 10 mesi per la vicenda calcioscommesse. Un aspetto che poteva minare la tranquillità dei bianconeri che riuscirono a trionfare per 4 a 2: il Napoli criticando fortemente la condotta arbitrale disertò la cerimonia di premiazione come fece la Juventus nel 1998, ricevendo ventimila euro di ammenda.
Gli ultimi anni
Gli antefatti dell’edizione 2013 non hanno precedenti nella storia della Supercoppa: la Lazio voleva giocare la finale in Cina per assicurarsi gli introiti economici, mentre la Juventus non voleva compromettere una tournée in Nord America già programmata. La Federcalcio e la Lega Serie A decisero in via straordinaria di giocare la gara nello stadio della squadra vincitrice della Coppa Italia, corrispondendo un indennizzo economico alla Lazio e cercando di accontentare entrambi i club.
La Juventus schierava in attacco il nuovo acquisto Carlos Tevez, ma a decidere la partita fu un ventenne subentrato dalla panchina a seguito dell’infortunio di Marchisio: Paul Pogba impiegò tre minuti per segnare e trascinare i propri compagni al 4 a 0 finale.
Dopo quasi diciannove anni l’edizione del 2014 torna a giocarsi in inverno: i Mondiali di Calcio e i preliminari di Champions fanno tramontare l’ipotesi di giocarla a Pechino e si sceglie di giocare il 22 dicembre a Doha, in Qatar. Gli incassi hanno determinato la scelta del paese arabo, che ospiterà i prossimi Mondiali nel 2022. É proprio quest’ultimo evento a destare scandalo: la corruzione nei lavori, le condizioni disumane degli operai impegnati nella costruzione degli impianti e la morte di decine di operai non facevano del Qatar il miglior paese in cui pubblicizzare il calcio italiano. Il Napoli trionfò dopo i calci di rigore contro la Juventus, rivendicando la sconfitta di due anni prima e riportando il trofeo all’ombra del Vesuvio ventiquattro anni dopo l’ultimo successo.
Il contratto con la compagnia UVS, multinazionale che organizza grandi eventi sportivi, prevedeva tre gare da giocare in Cina: nel 2015 la Supercoppa si disputò a Shanghai e il contratto non venne poi rinnovato. La compagnia riempiva di soldi le casse dei club, ma rifiutava ogni coinvolgimento esterno nella preparazione dell’evento: davanti ad un campo indecente pieno di buche, con poca erba e zone di fango venne rifiutato l’aiuto di un agronomo e due giardiniere giunti dall’Italia.
Le polemiche non si fermarono perché durante la partita, vinta per la Juventus sulla Lazio 2 a 0 trascinata da Pogba che con la numero 10 sulle spalle è protagonista della sfida, le riprese furono a dir poco ridicole. Come scrisse la Gazzetta dello Sport:
“Attacca una squadra e fanno vedere il replay di un’azione precedente, tira uno juventino e si vede la faccia di un laziale, c’è un’atmosfera da vecchia repubblica popolare, si sente persino come sottofondo la voce di un telecronista locale. Un’altra epoca, un’altra età: tanto è vero che fanno finire il primo tempo al 43esimo”
Nel 2016 la Supercoppa torna quindi in Qatar, con l’ennesimo tentativo di promuovere il calcio italiano all’esero: “Abbiamo trovato un grande partner che ha dimostrato di avere la capacità, la passione e l’ospitalità per organizzare nel miglior modo possibile una delle più importanti partite del calcio italiano” commentava Beretta, presidente della Lega Serie A. Le polemiche si accendono subito sull’orario di gioco (le 17.30 italiane), sui dubbi legati alle condizioni del campo e sulle riprese televisive, tralasciando aspetti molto più importanti legati alla condizione dei lavoratori impegnati per la preparazione dei Mondiali del 2022. Un inconveniente rischia di far slittare il match: il volo charter che doveva portare il Milan a Doha posticipò la partenza dei rossoneri, ma ciò non creò grandi problemi alla squadra di Montella che trionfò dopo i calci di rigore.
Mentre si aspettano ancora gli incassi dell’edizione 2015, unico vero motivo per aver giocato all’estero, nel 2017 la coppa torna in Italia. Protagonista è di nuovo la Juventus che affronta la Lazio: i biancocelesti non vincono una sfida con i bianconeri da dieci partite consecutive e la squadra di Allegri deve rifarsi, anche solo moralmente, della finale di Champions persa a Cardiff. É però la Lazio a dominare la partita, con la Juventus che pareggia nei minuti finali con una doppietta di Dybala, dopo due errori di Lukaku e Murgia. Quest’ultimo rimedia però al suo errore e corregge un risultato che sarebbe stato ingiusto: un gol all’ultimo secondo riporta il trofeo alla Lazio mentre la Juventus segna il record negativo di perdere due finali di fila.
Edizione 2018
L’edizione del 2018 la giocheranno Juventus e Milan, che tornano a disputarla nell’anno successivo alla sua elezione. Al di là del risultato, possiamo già affermare che rimarrà una delle edizioni più dibattute della storia. Non è di per sé sbagliato andare a giocare una competizione nazionale all’estero, così come è già successo per questo trofeo e come già accade anche in altri sport: l’NBA gioca all’estero dal 1978 partite di preseason. A tutti coloro che si lamentano perché portare un evento all’estero gli impedisce di andare a vederla facilmente allo stadio, bisogna ricordare che la Serie A gioca 380 partite stagionali: ci sono ancora molti posti disponibili negli stadi italiani, dato che nella stagione 2017/2018 mediamente sono stati occupati poco più del 60% dei seggiolini.
Bisogna tenere conto dei potenziali nuovi fan che i club possono portare allo stadio: le società acquisiscono nuove opportunità commerciali e la Lega Calcio, esportando il calcio italiano all’estero, mette in vetrina un prodotto rivendibile attraverso i diritti televisivi.
In questa occasione le polemiche sono aumentate esponenzialmente dopo il comunicato della Lega sull’acquisto dei biglietti:
“I settori indicati come “singles” sono riservati agli uomini, i settori indicati come “families” sono misti per uomini e donne”.
Il testo, pubblicato lo scorso 2 gennaio, mette in luce un fatto che non è scandaloso di per sè, in quanto rispetta una legge in vigore nello stato arabo. Vedendola da un punto di vista ottimistico, così come fa il presidente della Lega Gaetano Miccichè:
“La nostra Supercoppa sarà ricordata dalla storia come la prima competizione ufficiale internazionale di calcio a cui le donne saudite potranno assistere dal vivo”.
Ma la verità è che nel regno le donne sono soggette ad un rigidissimo sistema sociale: si trovano sotto il controllo di un guardiano di sesso maschile che le autorizza per diverse attività da quando nascono a quando muoiono. L’Arabia Saudita è inoltre un paese che negli anni ha represso sempre maggiormente gli oppositori al regime, fino ad uccidere il giornalista Jamal Khashoggi che ha scandalizzato il mondo intero.
Ma l’Arabia rappresenta solo l’ultimo di tanti paesi dopo Libia, Cina e Qatar: tutte nazioni nelle quali la libertà dei cittadini e delle donne è un concetto molto distante da quello che dovrebbe essere. Ma alla Lega Calcio, la stessa che dipinge i volti dei calciatori di rosso contro la violenza sulle donne, queste cose non sono mai interessate e non sembrano interessare ancora oggi. Nonostante il ritorno d’immagine sia negativo, l’unico motivo che spinge a giocare la competizione in questi Paesi sono i ricchi premi economici che vengono messi a disposizione: gli oltre 20 milioni di euro pagati dallo stato Saudita sovrastano ogni altro aspetto e tipo di introito, portando diverse polemiche sulla disputa della Supercoppa che rimane uno trofeo poco super.