I social network sono diventati un problema per i calciatori?
Insulti, offese a sfondo razziale e stress gratuito stanno convincendo tanti professionisti a cancellare i propri account
21 Febbraio 2020
Se da un lato i social network continuano ad essere più di un semplice hobby per alcuni calciatori professionisti, che sono riusciti a trasformare i loro profili virtuali in enormi fonti di guadagno (Cristiano Ronaldo, che ha da poco raggiunto i 200 milioni di followers su Instagram, riesce a guadagnare circa 900 mila euro da un singolo post e, una cifra molto simile anche su Twitter secondo uno studio recente condotto da Opendorse), la Players Footballers' Association inglese ha lanciato l'allarme: i calciatori professionisti stanno iniziando a rifiutare i social network per tutta la 'negatività' ad essi legata.
A supporto della propria tesi, raccolta da un recente articolo di BBC Sport, l'associazione dei giocatori professionisti inglesi ha fornito il numero di coloro i quali, nel corso del 2019, si siano rivolti ai servizi di consulenza appositi: 643 atleti, più del 50% in più del numero dell'anno precedente.
Le ragioni che hanno spinto molti calciatori a chiudere i loro account, o quantomeno a iniziare seriamente a riflettere se compiere un sofferto passo indietro, sono molteplici, ma tutte riconducibili al barrage, il bombardamento mediatico causato dalla valanga di commenti ricevuti: insulti di carattere razzista, offese relative all'orientamento sessuale, alle idee politiche ma anche episodi minori come errori sotto porta e brutte performance difensive, o sfoghi per partite perse al fantacalcio o schedine buttate al vento. In Inghilterra, dove il fenomeno della accuse sul web e della violenza verbale è di strettissima attualità, già lo scorso ottobre alcuni calciatori avevano deciso di 'scioperare' per 24 ore, lanciano l'hashtag #enough. Mentre dall'Italia, il difensore inglese della Roma Chris Smalling aveva pubblicamente fatto notare che esiste un modo completamente diverso di utilizzare i social network, e cioè facendone un uso differente e costruttivo, e che 'è giunto il momento per Twitter, Instagram e Facebook di valutare la possibilità di regolare i loro canali, assumendosi la responsabilità di proteggere la salute mentale degli utenti indipendentemente da età, razza, sesso o reddito'.
Al momento però sono in pochissimi ad essere riusciti a mettere la giusta attenzione sull'argomento, non c'è ancora la giusta consapevolezza sul tema e non si è probabilmente trovato il modo giusto per affrontarlo. Anche perché, come sottolineato dall'ex commentatore e psicoterapista inglese Gary Bloom:
"La psicologia dello sport è sempre stata tradizionalmente relativa a questioni di campo, grafici e dati. Ma la psicoterapia sportiva riguarda soprattutto la cura dell'essere umano e la costruzione di relazioni e il non cercare di sistemare le cose, ma far sì che l'individuo guardi i propri problemi personali fuori dal campo. Il cricket e il rugby sono in anticipo rispetto al calcio. Il calcio è ancora nell'età di Neanderthal, a volte penseresti che nel 2020 alcuni di questi problemi sarebbero stati affrontati."
La lista di coloro chi quali, anche temporaneamente, hanno dovuto prendere una pausa dai social network è già sostanziosa: il giocatore dei Celtic Glasgow Ryan Christie ma anche il ben più noto Andy Robertson, il terzino scozzese del Liverpool sommerso dagli insulti dopo l'errore costato ai Reds la sconfitta dello scorso autunno contro il Napoli. Un anno prima, cambiamo sport ma non concetto di fondo, anche il giocatore dei Philadelphia 76ers JJ Redick aveva deciso di liberarsi e chiudere quel 'luogo oscuro', commentando così riguardo i social network: 'Sono diventati un'estensione di te. È fottutamente spaventoso'. Di certo la scelta di abbandonare le piattaforme social, per quanto doverosa, è estremamente anacronistica: il mondo sportivo sta assistendo proprio in questi mesi all'espansione di Tik Tok e alla sfrenata crescita dei profili ufficiali dei club professionistici, e molti calciatori e top team europei stanno basando tanto del loro boom economico a livello globale sull'engagement relativo attività dei social network, mettendo in atto delle strategie ad hoc basate sulle attività degli influencer. Per i calciatori i social network sono diventati un odio et amo, un'arma a doppio taglio: desiderati e bramati per ottenere popolarità e apprezzamento da parte dei top brand e una facile vetrina per aumentare il numero di fans, si rivelano molto complicati da gestire quotidianamente per le tante spiacevoli conseguenze tanto da essere spesso gestiti da soggetti estranei.