Le signature shoes NBA dimenticate col tempo
Dalle Starbury alle Dada Spree: ricordate tutti i modelli?
03 Marzo 2020
Stando a questo articolo pubblicato su Forbes nell’agosto 2019, Klay Thompson figura al quattordicesimo posto tra i giocatori NBA con i più ricchi contratti di sponsorizzazione tecnica legata alle scarpe. Il “gemello” di Steph Curry – quarto in questa speciale classifica grazie ai 20 milioni a stagione che Under Armour gli garantirà fino al 2024 – stipulò, poco prima dell’inizio della stagione 2014/2015 un contratto da due milioni di dollari annui con il marchio cinese Anta. Dopo il successo dei modelli “KT1” e “KT2” nel 2016 l’accordo è stato rinnovato per complessivi 80 milioni di dollari nei successivi 10 anni: una cifra superiore rispetto ai 6 milioni annui che Li Ning ha garantito dal 2012 al 2018 a Dwyane Wade per convincerlo a lasciarsi alle spalle la non memorabile parentesi con Jordan, prima del rinnovo a vita da quasi 12 milioni a stagione.
Non è la prima volta nella storia che dei brand di secondo piano riescono a ritagliarsi un ruolo importante nel mercato delle signature shoes. L’epoca a cavallo tra gli anni ’90 e i ’00 in particolare ha prodotto modelli di assoluto culto senza che la loro iconicità fosse necessariamente modo legata a brand come Nike o adidas. Ne abbiamo scelte dieci finite inspiegabilmente nel dimenticatoio.
10 - Converse All-Star Rodman
Dopo aver lasciato Nike nel 1997, Dennis Rodman firmò un contratto di sponsorizzazione con Converse. Il primo modello, la “All-Star Rodman”, aveva il suo tratto distintivo nel logo, riadattato seguendo le linee di uno dei tatuaggi più riconoscibili d “The Worm”. Si tratta del motivo per cui la successiva “All-Star D-Rod” non riscosse lo stesso successo della progenitrice: troppo anonima e mainstream nella linee e nella colorazione per rispecchiare una delle personalità più singolari di sempre.
9 – FILA Webber
Rilasciate in due varianti di colore – bianco/blu e bianco/rosso – nel 1997 ad un prezzo molto più basso rispetto alla concorrenza, le FILA “Webber” furono considerate la rappresentazione di come e quanto i giocatori avessero compreso l’impatto delle sneakers all’interno di un contesto socio-culturale in continua evoluzione: «Uno dei problemi che avevo quando firmai con Nike era che vendevano scarpe di 130 dollari a ragazzini che, poi, nel quartiere, finivano per rubarsele l’un l’altro, alimentando la criminalità giovanile», disse lo stesso “C-Webb” quando si trattò di spiegare la sua firma con l’azienda italiana.
8 - Starbury
Un principio che ispirò, nel 2006, la nascita delle “Starbury”, le prime signature shoes a prezzi da discount – 14 dollari e 98 centesimi – lanciate attraverso la catena di abbigliamento Steve & Barry’s e che Stephon Marbury indosserà fino al termine della sua carriera. L’aver raggiunto il milione di paia vendute nel corso dei primi sei mesi, convinse il giocatore dei Knicks a lanciare le “Starbury 2” già nel 2007: la fama era quella di una scarpa perfetta per uno stile casual fuori dal campo che, però, creava non pochi problemi sul parquet a causa della qualità relativa dei materiali utilizzati. Nel 2009 la crisi economica causò la fine della produzione: la linea avrebbe rivisto la luce soltanto nel 2015 quando, sfruttando la sua connection con la Cina, Marbury rilasciò la “Starbury 3". Il prezzo? Poco meno di 30 dollari.
7 – Converse Wade 1
Quando fu scelto con la pick #5 al Draft 2003, Dwyane Wade non aveva ancora un contratto di sponsorizzazione tecnica con i colossi del settore. Ad approfittarne, per un ritorno in grande stile sulla scena, fu Converse che gli offrì un contratto triennale da quasi 1.5 milioni di dollari. La prima signature shoe, la “Wade 1” venne lanciata all’inizio della stagione 2005/2006. Un tempismo perfetto: a quel modello, infatti, il fenomeno da Marquette legherà la trionfale cavalcata che porterà i Miami Heat a vincere il primo titolo NBA della propria storia. I successivi tre anni non furono altrettanto fortunati: i modelli 2, 3 e 4 delle “Wade” furono ampiamente criticati per comfort e design, tanto da spingere Dwyane a tornare alla “Wade 1” nella stagione 2008/2009, dopo che la 4 era stata indossata solo in un’occasione. Il successivo accordo con Jordan non riscosse il successo sperato in termini di commercializzazione, tanto da spingere il giocatore a firmare un contratto con Li Ning nel 2012.
6 – LA Gear Catapult
Rilasciate ad inizio anni ’90, le “Catapult” della LA Gear indossate da Karl Malone rappresentavano una sorta di versione potenziata delle Nike “Air”, con il sistema “Power Feedback” a supporto di un design classico ma efficace per forme e dimensioni. Tra tutte le colorazioni disponibili – compreso un giallo-viola su sfondo bianco chiaramente ispirato ai Lakers e alla “Weapon” che Converse realizzò per Magic Johnson – il total white sfoggiato a Barcellona con il Dream Team rimane ancora oggi il più riconosciuto e riconoscibile.
5 – Dada Spree
La connection tra basket e la cultura rap e hip hop venne portato ad un nuovo livello da Latrell Sprewell, grazie alla partnership con Dada. Le “Spree” del 2004, dette anche “Supreme Spinners”, ispirate al design delle convertible cars ribassate dei rapper, presentavano sulla parte esterna la miniatura di un cerchio in lega cromato realizzato con la collaborazione della Lexani Wheels. Nonostante l’hype generale, il prezzo di 110 dollari non contribuì al successo commerciale di un modello comunque unico nel suo genere. In un tweet di fine settembre 2017 Sprewell aveva annunciato il ritorno delle “Supreme Spinners” postando una foto del modello originale: ad oggi non si hanno più notizie in merito e il tweet risulta provenire da un account sospeso.
4 – Apex Mailman
Gli anni ’90 sotto forma di sneakers, la rappresentazione plastica del successo temporaneo di un marchio che, oltre che ai piedi della miglior power forward di tutti i tempi, si trovava anche sulle divise di alcune delle migliori squadre del college basket, comprese Arkansas e Kentucky. Design senza tempo, stile inconfondibile, praticamente introvabili in rete a prezzo di saldo: nel 2012, in occasione del quarantanovesimo compleanno di Karl, si diffuse la notizia che su eBay un paio di “Mailman” fosse stato venduto a 2.500 dollari.
3 – Reebok Zig Slash
Quando venne chiamato dagli Washington Wizards con la prima scelta assoluta al Draft 2010 John Wall aveva già un contratto da 25 milioni di dollari per cinque anni con Reebok, che cercava così di rimettersi sulla mappa dopo i fasti dell’era “Question” ai piedi di Allen Iverson. Le “Zig Slash” debuttarono ai piedi di Wall già nella stagione da rookie, implementando il sistema “Zigtech” direttamente dai modelli da running. Una scelta infelice: la scarpa si dimostrò inadatta alle sollecitazioni del parquet e ai repentini movimenti laterali di un giocatore della struttura fisica di Wall, che ebbe numerosi problemi ai piedi tanto da dover smettere di indossare anche le “Zig Slash Encore” che l’azienda di Boston aveva rilasciato in tutta fretta per provare a porre rimedio ai suoi errori. Nel 2013 Reebok lasciò il basket NBA per tornare a concentrarsi sul mondo del fitness e Wall firmò con adidas.
2 – FILA Grant Hill 1
L’eccezione alla regola che voleva FILA non in grado di produrre sneakers memorabili dal punto di vista estetico. Le “Grant Hill 1” non presentavano alcuna innovazione significativa dal punto di vista tecnologico o stilistico, eppure questo non impedì la vendita di un milione e mezzo di paia. Ancora oggi si tratta della miglior signature shoe mai prodotta dal marchio italiano, un “must have” assoluto per ogni sneakerhead che si rispetti.
1 – Ewing 33 Hi
«Se si facesse una proporzione con i guadagni del 1990 rapportati a quelli di oggi, è come se avesse venduto il corrispettivo attuale di LeBron e Kobe», disse David Falk in un’intervista a GQ nel 2015. Nel 1989, quando il centro dei Knicks decise di fondare la Ewing Athletics dopo la fine del suo contratto con adidas, i dubbi erano molti. Ma finirono ben presto spazzati via dai 100 milioni di dollari guadagnati nel solo 1990 grazie alla “33 Hi”: un modello iconico che aveva nell’immediata associabilità al giocatore che le indossava il suo punto di forza. L’autografo in rilievo e il 33 in bella vista sul tallone facevano il resto. Dopo il rilascio di ben 20 modelli tra il 1990 e il 1996, nel 2012 la Ewing Athletics reintrodusse le “33 Hi” quasi a furor di popolo: «Ovunque vada la gente mi chiede di quelle scarpe: è fantastico che ancora oggi siano tutti così interessati al mio brand» dichiarò Ewing.