Il triste declino (degli outfit) di Joakim Noah
Dal draft ai Clippers, la storia di uno dei giocatori worst-dressed-ever
09 Marzo 2020
La storia di Joakim Simon Noah comincia nel 1985 a New York City, più precisamente dall’incontro di una modella svedese e un giocatore di tennis francese, Jannick (si, quello che adesso fa il cantante a tempo perso). Joakim entra da subito in contatto con il mondo dello sport e mostra una particolare predilezione per il mondo della palla a spicchi. Quello con la pallacanestro non sarà uno di quegli amori passeggeri che svanisce col tempo e a confermarlo (e a dargli ulteriori motivazioni) ci penserà qualche anno dopo coach Donovan, storico allenatore dei Florida Gators con cui il giovane Noah vincerà due titoli NCAA consecutivi, prima di essere draftato (con un'acconciatura orribile) dai Chicago Bulls.
Da questo momento comincia una carriera NBA che, nonostante il limitato talento, porterà Joakim ad avere una discreta considerazione all’interno delle franchigie americane: la dimostrazione la danno il titolo di difensore dell’anno del 2014, le due convocazioni agli All Star Game 2013 e 2014 e le due menzioni nell’NBA All-Defensive-Team.
Quelli a seguire invece sono anni più difficili, in cui la solidità fisica e mentale che gli avevano sempre permesso di stare in campo nonostante una meccanica di tiro a dir poco inguardabile, comincerà a vacillare: nel 2016 viene sospeso per violazione della politica antidroga e nel giro di poco più di due anni sarà costretto a cambiare tre squadre, passando da Chicago a New York a Memphis, dove nel 2019 ha subito un grave infortunio che lo ha tenuto fuori dal campo fino ad oggi, facendogli mettere in discussione una decisione tanto sofferta quanto drastica: il ritiro.
La bella notizia arriva qualche giorno fa attraverso il Gianluca di Marzio d’oltre oceano, Adrian Wojnarowski, reporter di ESPN, che annuncia che Noah e i Clippers hanno raggiunto un accordo decadale, al termine del quale la franchigia potrà decidere di offrirgli un secondo contratto da dieci giorni, o rilasciare/firmare il giocatore per il resto della stagione.
35 anni, 667 gare NBA con circa 9 punti e 9 rimbalzi di media e oltre 125 milioni di dollari di soli stipendi guadagnati in 12 anni. L’ascesa e il tracollo di una carriera che sembrava già finita. Sicuramente ci ricorderemo di Noah per un motivo: i suoi outfit.
Nell’NBA contemporanea, così come ha criticato recentemente JJ Redick ''ci sono giocatori più concentrati sul proprio outfit prepartita su Instagram che sulla possibilità di vincere o perdere una partita di basket’’. Ecco, sicuramente il cestista anglo-francese non si sarebbe sentito chiamato in causa, visto che i suoi look non fanno sicuramente onore al suo stesso stipendio. E se la nostra considerazione estetica ha un valore relativo, ricordiamo che nel 2013 fu l’NBA stessa ad obbligare un Noah in borghese a cambiarsi tra un tempo e l’altro della stessa partita, dato il mancato rispetto dell’ ''intransigente'' NBA dress-code.
L’impressione è che ci sia una certa ricercatezza nel voler apparire un hippie trasandato, uno stile che tutto sommato pare riscuotere un certo successo, visto la trafila infinita di ex ragazze top-model del figlio di Jannick.