Il ''comeback'' di Michael Jordan con il numero 45
Dalla ''double nickel night'' all'esordio della Air Jordan XI
27 Marzo 2020
Mancano poco più di 18 secondi alla fine di gara-1 delle semifinali della Eastern Conference del 1995 quando, in uscita dal timeout, Michael Jordan - 19 punti e 8/21 dal campo fino a quel momento - riceve palla nella sua metà campo pressato da Nick Anderson: i Bulls conducono 91-90 sui Magic e ognuno dei 16.000 spettatori dell’Amway Arena sa che il futuro della partita e della serie passa da quella giocata difensiva in single coverage.
La pressione di Anderson è mostruosa fin dalla ricezione, Jordan dopo un paio di palleggi va di spin move e accelera fino a superare la metà campo e perdere il contatto visivo con Anderson. L’istinto porta MJ sul lato destro ma ad Anderson basta una frazione di secondo per sbucare dal nulla, derubare ''the GOAT'' e avviare l’azione chiusa dalla schiacciata di Horace Grant su assist di Penny Hardaway per il vantaggio dei padroni di casa. Il palazzetto, intanto, ha preso letteralmente fuoco.
Stavolta è Phil Jackson a chiamare timeout con 6.2 secondi sul cronometro. Lo schema è naturalmente per Jordan che riceve all’altezza del logo marcato da Donald Royal e attacca lungo la fascia centrale prima di arrestarsi all’altezza della linea del tiro libero: tutti si aspettano il palleggio-arresto-tiro che non può mai uscire, compreso Scottie Pippen che viene immancabilmente colto di sorpresa da un passaggio che va a morire tra i fotografi assiepati dietro il canestro. Finisce qui, gara-1 è dei Magic: ''Il 45 non è il 23. Al 23 non avrei mai potuto fare una cosa del genere'', dirà Nick Anderson commentando la giocata della sua vita, quasi a voler ricondurre la normalizzazione di quegli istinti cestistici soprannaturali a una mera questione di iconografia.
Anche le statistiche sembravano rafforzare quella tesi: nonostante il ''double nickel'' al Madison Square Garden contro i Knicks, le 17 gare disputate da Jordan dopo l’''I’m back!'' in regular season avevano lasciato trapelare che ci fosse un gap da colmare con il Michael #23, a confermarlo erano le statistiche peggiori per media punti (26.9) e percentuale dal campo (41.1) dal 1986.
Il 45, numero mantenuto anche durante i dimenticabili mesi con i Birmingham Barons, deriva dagli anni della Laney High School: nella squadra ''junior varsity'' (quella che per noi sarebbe la squadra B liceale) Michael aveva proprio il 45 ma, una volta passato alla ''junior'' l'anno successivo, fu costretto a cambiarlo per colpa del fratello Larry, già in possesso del numero prediletto. Michael scelse quindi la - quasi - metà, numero che tutto sommato gli portò fortuna: il 23.
Un ritorno al passato, una scelta di cuore: ''Quando tornai al basket non volevo giocare con l’ultimo numero con cui mio padre mi aveva visto giocare. Lui non c’era più quindi ho voluto vivere il mio ritorno come un nuovo inizio'' avrebbe scritto nel 1998 nella sua autobiografia ''For the Love of the Game''; si trattava per lo più di un’operazione di marketing: il 45, infatti, faceva bella mostra di sé anche sul retro delle nuovissime Jordan XI ''Concord'' indossate per la prima volta proprio in gara-1, nonostante Tinker Hatfield avesse suggerito di aspettare almeno il lancio ufficiale sul mercato.
Tutte le teorie che mettevano MJ in cattiva luce furono smentite in gara-2, quando, con il ritorno al 23 nella sua ventitreesima partita stagionale, costrinse i Bulls a pagare 25.000 dollari di multa – oltre ai consueti 5.000 per le scarpe non adeguate al ''dress code'' dalla lega – per il cambio di numero. Poco male: 38 punti nel 104-94 finale che vale l’1-1 nella serie e la sensazione che tutto dipendesse davvero dalla cabala. ''Penso sia stato un problema di fiducia. Il 23 è quello che sono, e me lo terrò fino a quando non smetterò di giocare a basket. Quindi perché cercare di essere qualcun altro?'' dirà, con le stats ancora una volta a supporto; le cinque partite disputate in quei playoff con il 45 erano di 29.6 punti di media con il 47% al tiro, le successive cinque con il 23 saranno chiuse a 33.4 sfiorando il 50% dal campo.
Non basterà ai Bulls per evitare l’eliminazione e nemmeno a Jordan per smentire chi stava già sostenendo di non essere il vecchio Michael. E non certo per una questione di numeri di maglia: a mancare non è la presenza del 23 ma quella condizione di superiorità mentale, prima ancora che tecnica e fisica, che gli permetteva di decidere quando e come vincere, senza lasciare il minimo dubbio che ci sarebbe riuscito. In quel momento MJ è ''solo'' un giocatore molto forte con dei limiti che non si credeva avesse.
Superman si sarebbe rivisto, più in forma che mai, dopo un’estate passata ad allenarsi furiosamente in vista della stagione del riscatto, quella quella delle 72 vittorie e del primo titolo per il ''repeat del three-peat''. E si sarebbero riviste anche le Air Jordan XI ''Concord'' nella loro colorazione originale: abbandonate in gara-3 di quella serie contro i Magic - in favore prima di un paio di inusuali ''Air Flight One'' e poi nella versione ''black royal'' (con l’iconico Jumpman in blu) che comparirà anche in Space Jam insieme alle Jordan IX - sarebbero tornate all’antico splendore del bianco e nero già a partire dall’opening night del 3 novembre: 42 punti, 6 rimbalzi e 7 assist contro gli Charlotte Hornets, con il 23 ben visibile sulla maglia e sul retro delle sneakers. Perché non sarà stata una questione di numero, ma era meglio non rischiare.