Perché Reebok è stata una meteora nel mondo del calcio
Dall'ascesa con Bolton, City e Liverpool fino alle sponsorship delle leghe americane
02 Maggio 2020
L’11 aprile 2006, a 58 giorni dall’inizio del Mondiale tedesco, Thierry Henry annuncia di aver firmato un contratto quinquennale con Reebok: quello in Germania, quindi, sarebbe stato l’ultimo torneo internazionale in cui avrebbe calzato Nike. Dal 1 agosto successivo, infatti, il francese sarebbe diventato il volto globale e globalizzato della campagna ''I am what I am'' insieme ad Allen Iverson, Jay-Z e 50 Cent: ''Commercializzeremo il nome di Henry in modo da far capire all’Europa e al mondo la sinergia che si è creata tra Reebok e Thierry. Il suo impegno civile contro il razzismo e in altre importanti questioni sociali incarnano perfettamente gli ideali che intendiamo veicolare con la nostra campagna'', dichiara entusiasta il presidente e chief executive Paul Harrington.
Strappare a Nike uno dei suoi testimonial più noti era il modo con cui l’azienda inglese – acquistata nel gennaio precedente da adidas per 3 miliardi di euro – cercava di riprendersi quella posizione dominante nel mondo del calcio che, dalla seconda metà degli anni '90 all’inizio dei 2000, aveva fatto associare il marchio Reebok alla Premier League: dal 1997 il Bolton disputava le sue partite casalinghe al ''Reebok Stadium'' e nel 2003, oltre al nuovo accordo con il Manchester City, c’era stato il rinnovo – per sei anni a 100 milioni di sterline complessivi – di quello già stipulato con il Liverpool nel 1996. Il tutto avendo già sotto contratto alcuni giocatori simbolo del campionato inglese come Jay-Jay Okocha, Peter Schmeichel, Andy Cole, Dennis Bergkamp e soprattutto Ryan Giggs.
Nel 2009, con Henry passato dall’Arsenal al Barcellona, si consuma un ideale passaggio di consegne proprio con il gallese, omaggiato l’anno prima con una versione speciale delle ''Sprintfit Pro'' recante la scritta ''Moscow 2008 759'' sulla linguetta per celebrare il record di presenze con la maglia del Manchester United raggiunto in occasione della finale di Champions League a Mosca. Alla vigilia della finale di Roma tra Barça e Red Devils, in un commercial che sembra quasi fare il verso a quello con Michael Jordan e Mia Hamm per Gatorade, Giggs e Henry presentano la ''Instante PRO'' in due varianti di colore, al grido di ''tutto quello che sai fare io posso farlo meglio''.
Entrambi sono i protagonisti, con Casillas e Shevcenko, anche della campagna Play Responsibly: in uno degli spot dedicati, girato nel contesto post-apocalittico di un’area deserta di Barcellona, si vede Henry demolire palazzi in costruzione e auto abbandonate semplicemente calciando il pallone, fingendo stupore per la potenza e la precisione del suo destro. E sempre il francese sarebbe stato il volto scelto dall’azienda per rilanciare anche in Europa la fusione molto americana tra sport e streetwear culminata nella presentazione della ''Zigtech'', la scarpa da running presentata nel marzo 2010 a Barcellona in un curioso e divertente contest atletico con Lewis Hamilton.
Sembra tutto pronto per lanciare la sfida ai colossi di settore e tornare ai fasti di un passato non più così lontano, quando Reebok era sinonimo di innovazione e coraggiosa sperimentazione per quel che riguarda il design di alcune delle maglie che avevano segnato una generazione. E, invece, gli anni dieci del 2000 fanno da sfondo alla crisi del marchio e il suo progressivo disimpegno per quello che riguarda gli sport di squadra: la fine del contratto decennale con la NFL nel 2011 e l’aver lasciato ad adidas la gestione degli accordi con NBA e NHL, in coincidenza del rebranding del logo e del crollo dei ricavi successivi alla fusione con il marchio tedesco – oltre 500 milioni in meno tra il 2006 e il 2014 – significano la scomparsa dai mercati più importanti.
Il calcio non fa certo eccezione: nel 2006 si interrompe la collaborazione con il Liverpool alla ricerca di kit maggiormente aderente ai nuovi canoni di moda e vestibilità all’interno del terreno di gioco; nel 2011, dopo essersi accasato ai New York Red Bulls, Henry decide di firmare con Puma, anticipando di un anno quella che sarà la scelta di Casillas con adidas; e, nel 2014, quattro anni dopo l’uscita delle ''RG 800'' color oro create appositamente per lui, anche Ryan Giggs abbandona lo sponsor che lo aveva accompagnato per tutta la carriera, scandendo i primi passi da allenatore con ai piedi un anonimo paio di Nike ''Premier'' nere e bianche e sancendo, di fatto, la fine di un’era.
Oggi Reebok è totalmente fitness-oriented e, per quel che riguarda il calcio, rivive unicamente tra i ricordi degli appassionati del vintage e nei concept futuristici di Nivelcrack. Tra il 2014 e il 2015, quando sembrava imminente la cessione (che non si sarebbe concretizzata) al consorzio di investitori guidato dal fondo di investimento di Hong Kong Jynwel Capital, il Wall Street Journal aveva sottolineato come il marchio dei fratelli Foster avrebbe potuto dire ancora la sua se fosse stato gestito in maniera indipendente. Magari con la possibilità di trovare un altro Giggs su cui puntare, un altro Henry da strappare alla concorrenza, un altro campionato da vestire come il Cile del 1998 o l’Argentina del 2001: in maniera unica e indimenticabile anche in un mercato che sembra averlo fatto.