Il rito perduto dello scambio della maglia
La storia di un gesto che dalla prossima stagione non potremo più vedere
15 Maggio 2020
Marocco, Stade de Marrakech. Il 18 dicembre 2013 il Raja Club Athletic Casablanca e l'Atletico Mineiro si stanno giocando l'accesso alla finale del mondiale per club contro il Bayern Monaco. Il match termina 3-1 per i nordafricani, ma a colpire maggiormente è quello che succede subito dopo l'incontro: al fischio finale dell'arbitro, i giocatori marocchini corrono verso l'uomo simbolo del Mineiro, Ronaldinho. Dopo aver vinto tutto in Europa al Milan e (soprattutto) al Barcellona, il brasiliano ha deciso di tornare a giocare in patria e, archiviata la parentesi di un anno al Flamengo, si trova a lottare per il titolo di campione del mondo con il club di Belo Horizonte. Anche se sono passati anni dal suo periodo d'oro, il Gaucho è ancora una star, e tutti vogliono la sua maglia. Ad aggiudicarsela alla fine è Kouko Guehi, mediano, che nei 90 minuti non ha perso l'occasione di dimostrare al suo idolo tutta la sua ammirazione con diversi interventi duri. Ma non è finita qui: massaggiatori, tecnici, panchinari e portaborracce, tutti vogliono salutare e omaggiare "Dinho". Il portiere del Raja, Khalid Askri, dopo averlo abbracciato gli chiede se può avere la sua iconica fascia per capelli. "Vuoi davvero questa?", sembra chiedere Ronaldinho con faccia stupita. Askri gliela sfila dalla fronte e esultante la porta via, mostrandola ai compagni di squadra. Da quel campo il brasiliano uscirà in mutande e senza scarpe: uno spogliarello che vale più di mille tributi.
Per quanto esagerata e irripetibile, scene come questa rischiano di scomparire: infatti - come anticipato dal Telegraph - tra le misure di sicurezza per la ripartenza della Premier League ci sarebbe il divieto per i giocatori di scambiarsi la maglia a fine match. Un'accortezza che, stando ai media inglesi, dovrebbe essere estesa anche a tutta la prossima stagione visto che la pratica è in contrasto con le norme sanitarie necessarie a contenere la diffusione del virus. A nulla servirebbe lavare subito il cimelio, come fece ad esempio la madre di Leigh Walker, portiere 22enne dello Scarborough che nel 2004 riuscì a scambiare la divisa con il portiere del Chelsea Carlo Cudicini dopo un match di FA Cup. Walker aveva ottenuto perfino una dedica dall'italiano: "Auguri per il prosieguo della stagione". Inutile specificare che la firma andò via col lavaggio, lasciando il giovane portiere con una maglia pulita e l'amaro in bocca.
Lo scambio di maglie a fine gara nacque come rito per ricordare un momento sportivo importante: nel 1931, allo Stadio olimpico "Yves du Manoir" di Colombes (poco fuori dalla periferia occidentale di Parigi), la nazionale Francese affrontò per la settima volta nella sua storia l'Inghilterra. Lo score era stato desolante: gli inglesi avevano vinto tutti gli incontri precedenti, e il parziale era di 25 gol a 6. Sorprendentemente, l'incontro amichevole terminò 5-2 per la Francia. Esaltati per la storica vittoria, i transalpini chiesero ai colleghi inglesi le loro maglie come ricordo. I britannici accettarono - consci di essere comunque tra le nazionali più forti al mondo - e lo dimostrarono, soprattutto ai francesi, battendoli ripetutamente negli anni a seguire fino al 1955, anno della seconda vittoria dei Blues.
Ben presto il gesto si affermò come segno di rispetto nei confronti di un avversario, un modo per riconoscere all'altro una certa ammirazione per l'etica, le capacità tecniche e il valore in termini di leadership. Un esempio su tutti la finale di Coppa dei Campioni del 1962: oltre a battere il Real Madrid e diventare campione d'Europa, il sogno dell'allora ventenne del Benfica Eusebio era quello di portare a casa la maglia della stella dei Blancos Alfredo Di Stéfano. Riuscì in entrambi gli intenti. "A fine gara avevo la maglia di Di Stéfano nei pantaloncini, ero terrorizzato che qualcuno me la portasse via", dichiarò in seguito la "Pantera Nera".
Rispetto, si, ma con un occhio di riguardo al contesto, specie in caso di rivalità storica tra le squadre: oltre a numerosi gesti di fair play, la storia degli scambi di maglia è costellata da eventi spiacevoli, su tutti lo scambio negato nei quarti di finale della Coppa del Mondo del 1966 tra Argentina e Inghilterra, terminato 1-0 per i britannici. Il match, descritto dalla stampa dell'epoca come "aggressivo" e "focoso", terminò con la corsa del manager inglese Alf Ramsey, che percorse tutto il campo per impedire allo stopper George Cohen di scambiare la maglia con l'argentino Alberto Gonzales, definendo quest'ultimo "un animale che non merita la divisa inglese". Un episodio che ha contribuito a dare il via a una rivalità, quella tra Argentina e Inghilterra, che nel corso della storia si è intrecciata anche con la politica, culminando con la famosa "Mano de Dios" di Maradona vent'anni dopo al Mondiale dell'86.
L'antagonismo tra Arsenal e Manchester United non è certo da meno. Per questo motivo i tifosi dei Gunners non reputarono una buona idea la scelta dell'esterno sinistro André Santos nel 2012 di scambiare la maglia con Robin Van Persie, passato l'anno prima ai Red Devils proprio dall'Arsenal. Ad attirare le ire dei tifosi fu la decisione infelice di Santos di chiedere - e ottenere - lo scambio durante l'intervallo, sotto gli occhi di tutti davanti al tunnel che porta agli spogliatoi. Di contro, rifiutare la maglia di una squadra rivale può voler significare gloria eterna agli occhi dei propri tifosi e lo sa bene Afriyie Acquah, centrocampista del Torino che al termine di un derby nel 2016 rifiutò lo scambio con lo juventino Bonucci, uno dei giocatori più bersagliati dai supporters granata. Qualche anno prima, in occasione della prima stracittadina dopo il ritorno in Serie A del Torino, alla fine del match Ogbonna aveva accettato la maglia bianconera di Marchisio, rompendo irreparabilmente il rapporto con i suoi tifosi.
A fare la differenza è il destino della maglia "rivale" ottenuta a fine gara: a margine di un Milan-Lazio dell'anno scorso, Bakayoko e Kessie mostrarono trionfanti e con aria di beffa la divisa di Acerbi scambiata poco prima, attirandosi le critiche di tutta la stampa nazionale. Diverso è il discorso se ti chiami Alessandro Del Piero. Nel marzo 2013 il capitano bianconero festeggiò la vittoria della sua Juventus sul Milan sotto la curva dello Stadium indossando la maglia di Seedorf, ma vista la caratura dei due campioni la cosa fu interpretata da entrambe le tifoserie come un semplice segno di affetto reciproco.
D'altronde, quando si parla di giocatori di questo livello si tende a perdonare tutto ed è per questo motivo che Ronaldinho poté scambiare la sua maglia del Barcellona con Paolo Ferreira del Chelsea durante l'intervallo di un ottavo di finale di Champions League del 2004 senza generare particolare scalpore. Nel primo tempo di quel match, peraltro, il brasiliano realizzò due reti di cui il secondo di punta dal limite dell'area entrato nella storia del goal più belli della competizione.
Una maglia iconica - quella away dei catalani di quell'anno - perché la prima indossata da Leo Messi agli esordi nel club. La stessa ''Pulga'' ha dichiarato di non aver mai cercato di scambiare maglia con nessuno, eccezion fatta per un rivale storico, Zinedine Zidane. Al Santiago Bernabeu, dopo un 3-0 del Barcellona sul Real Madrid, Leo non riuscì a nascondere la sua ammirazione per Zizou e ottenne l'unico scambio che abbia mai cercato. Nonostante la rivalità sportiva, l'argentino ha sempre difeso il francese, specie dopo la decisione di quest'ultimo di annunciare il suo ritiro. "Sono sorpreso anche io, ma nessuno ha il diritto di criticarlo" disse la "Pulce" al Mundo Deportivo.
Messi ha anche rivelato di accettare di buon grado scambi con altri giocatori argentini avversari che glielo avessero chiesto. Nel 2016 Bonucci e Chiellini litigarono durante il primo tempo di un Barcellona-Juventus per "prenotare" la maglia del 10 blaugrana a fine partita, scena simile a quella del 2003 quando Javier Zanetti e Marco Materazzi offrirono contemporaneamente la loro maglia in cambio di quella di Henry.
La più ambita di tutti però si direbbe essere quella di Pelè: la maglia che indossava durante la finale del Mondiale nel '70, scambiata con Roberto Rosato, è stata messa all'asta dall'italiano e venduta per la cifra record di 180mila euro. Durante quello stesso torneo, ai gironi il fenomeno brasiliano scambiò la divisa con quella dell'inglese Bobby Moore, in uno scatto che i media britannici dell'epoca definirono "un enorme schiaffo al razzismo". Durante la sua permanenza ai New York Cosmos, Pelé confessò di potare sempre con sé due dozzine di maglie, per cercare di accontentare chiunque gliela chiedesse durante le varie partite della stagione.
Un autentico "schiaffo alla miseria" se si pensa che per ridurre le spese nel 2016 il Manchester United chiese ai suoi giocatori di rifiutare qualsiasi scambio di maglia, pena il dover pagare di tasca propria per avere una nuova divisa. Discorso simile per l'Iran dei Mondiali del 2014: il presidente della federcalcio Ali Kafashian spiegò che per via della profonda crisi economica in cui versava il Paese non sarebbe stato possibile fornire ai giocatori una maglia per ogni partita, pregandoli di evitare scambi con gli avversari.
Che si tratti di un tributo a un rivale o un rito per ottenere un cimelio oppure motivo di beffa, dovremmo dire addio per un po' a un'usanza - quella dello scambio delle maglie - vecchia quasi quanto il calcio stesso. Sperando che possa tornare ad essere presto simbolo di classe e sportività, come quando Parma e Sampdoria decisero di celebrare l'amicizia tra le loro tifoserie scambiandosi gli storici design delle rispettive divise: la croce passò sulla maglia dei genovesi, mentre le bande verticali ornarono la maglia degli emiliani in un'iniziativa che prese il nome di "Blucrociati".