L'evoluzione estetica del Draft NBA
Escursione stilistica tra gli outfit migliori e peggiori
17 Novembre 2020
Tray Patterson del New Yorker definisce lo stile dei partecipanti all'NBA Draft come il vero "barometro culturale della sartoria". E tornando indietro di quasi mezzo secolo, è impossibile dargli torto. Uno dei primi e più importanti eventi della stagione NBA andrà in scena stanotte, in videoconferenza - proprio come l'ultimo digital draft NFL - e quindi non in pompa magna come negli ultimi anni, dove il Barclays Center di Brooklyn si trasformava in un enorme palcoscenico per giovani talenti pronti al passaggio tra i pro.
È un "barometro culturale" perché l'estetica e lo stile portati su un proscenio di questa importanza mediatica genera trend e nuove mode, che nella maggior pare dei casi suscita più risate che reale interesse. Negli ultimi anni, però, c'è stato uno switch netto, con la nuova generazione di talenti che è molto più attenta alle tendenze e non vuole bucare la prima di tante sfilate. David Stern - il compianto commissioner che ha fatto del Draft un evento globale - ha cambiato le regole del gioco, soprattutto in termini commerciali. Tutto il mondo ha gli occhi puntati su quel palco e nessuno vuole sfigurare in termini di stile.
80s | Da Magic, Bird e Michael fino al coraggio di Chuck Person
Dall'eleganza innata di Earvin "Magic" Johnson fino ai primi disastri stilistici, specie quello di Chuck Person, scelto nel 1986 dai Pacers con la numero 4 e presentatosi alla notte più importante della sua carriera con uno smoking fluorescente inadatto. Grande sobrietà per il resto, con qualche nota alta suonata da Isiah Thomas e Vlade Divac, europeo di nascita, di crescita, ma neanche lontanamente di stile. L'outfit di Michael Jordan risale al giorno della firma con i Bulls, con il grande lavoro di mamma Deloris al servizio dell'eleganza di Mike.
90s | L'era delle cravatte impossibili
Se non bastassero i colori tenui prima e sgargianti poi (con Jalen Rose a cui a occhio deve piacere il rosso), le cravatte completano un quadro che negli anni '90 diventa estremo per le tendenze dell'epoca. Da Gary Payton a Kobe Bryant, passando per grandi pensatori e passatori come Nash e Kidd, fino agli alieni che rispondono al nome di Vince Carter e Kevin Garnett: tutti scelgono cravatte impossibili. Un gradino sopra tutti, però, c'è Samaki Walker, scelta dei Dallas Mavericks e da neo-giocatore texano decide di presentarsi con una bombetta che starebbe meglio sulla testa di Christoph Waltz o Leonardo DiCaprio in Django Unchained.
Gli anni '90 sono stati i migliori della storia della NBA, anche stilisticamente. Ma solo in campo, con maglie che hanno fatto la storia. Maglie e abiti, però, vanno in direzioni completamente opposte.
2000s | Il punto di non ritorno
La classe 2003 è considerata la migliore in campo e la peggiore nella notte in cui LeBron James, Dwyane Wade, Carmelo Anthony e Chris Bosh sono diventato giocatori professionisti. Quella sera il confine tra normale e anormale, tra estetico e antiestetico è diventato invisibile, con il total white di LeBron - ma con delle gator shoes che lo perseguiteranno per il resto dei suoi giorni - e i tagli sartoriali di Carmelo, di Gooden, di Howard, di Delon Wright (al quale è impossibile applicare anche il concetto di oversize). Le uniche note positive, orgogliosamente italiani, sono gli abiti di Bargnani nel 2006 e di Gallinari nel 2008. Pr il resto, è un punto di non ritorno.
10s | Le nuove generazioni
Dal total white di King James all'abito avorio di Zion Williamson il passo è breve, anche a 16 anni di distanza. La raffinatezza non è parente dei più giovani, ma sicuramente l'evoluzione è positiva rispetto al punto più basso del decennio prima. Ricercatezza e nuove tendenze - come le fodere delle giacche cucite con messaggi, loghi e simboli - ma anche le prime collaborazioni tra brand fashion e giocatori.