Perché il 2020 è stato l'anno di PUMA
3 motivi per cui l'azienda tedesca è lo sport brand dell’anno
25 Novembre 2020
Quando nel 2016 PUMA era uscita dalla Fab 40 di Forbes - la classifica dedicata ai brand di maggior valore in ambito sportivo - il suo destino sembrava quasi segnato. La forza che il brand tedesco ha ritrovato nel giro di 4 anni è stata superiore alle previsioni. Oltre a rientrare nella classifica lo scorso anno, rimanendo dietro solo Nike, ESPN, adidas, Gatorade e Sky Sports, PUMA ha sviluppato strategie che hanno contribuito a far diventare l’azienda di Herzogenaurach una delle più in crescita di questo 2020. Il covid-19, per certi versi, ha funzionato da acceleratore sotto tanti punti vista: secondo Business of Fashion, il brand ha rettificato un +20,7% e +17,7% nelle vendite rispettivamente nel mercato USA e nel mercato europeo, portando il fatturato del primo quarto di 2020 oltre le previsioni (1.58 miliardi contro i 1.56 miliardi previsti). Una crescita che, nonostante il periodo, ha portato nelle casse tedesche un utile di 190 milioni di euro, migliorando di 16 milioni le stime.
In quasi tutti i settori chiave delle società moderne, vige una legge non scritta che può essere applicata con lo stesso significato: when in trouble, go big. Non esiste una traduzione che renda giustizia a questo concetto, ma sintetizzando il tutto si può dire che nel momento di massima difficoltà, solo chi ha il coraggio di rischiare trasforma complicazioni in opportunità. Ed è quello che ha fatto PUMA in questo 2020, a differenza dei competitor che hanno optato per altre strade. Nike sta attuando strategie che non mettono più al centro dei progetti singoli volti ma intere comunità, ragionando per key city e non più per key player. Ragionano in maniera ancora diversa a Stoccarda, HQ di adidas. Le three stripes stanno spostando il focus sempre più sull’arte e sugli artisti, sfruttando le loro personalità e le loro creatività per collabo sempre più trasversali.
Maglie 2020-21: qualità e identità
I kit della stagione 2020-21 si son fatti attendere più del previsto, visti e considerati i ritardi che ha causato la pandemia globale, ma nonostante tutto hanno segnato trend evidenti. PUMA è stata la vincitrice nella speciale categoria qualità/identità perché ha saputo interpretare meglio dei competitors la necessità di integrare la cultura locale - che sia fashion come nel caso del Milan o artistica come nel caso del Manchester City - e un elemento sempre meno “da campo” e sempre più street style come la maglia. I casi di Borussia Dortmund, Olympique Marseille, Valencia, oltre a quelli della nazionale italiana ed islandese (con la quale ha lavorato ad un rebranding più generale), hanno contribuito a rendere i kit PUMA i migliori del 2020. Gli elementi architettonici, spesso simboli identitari per tifosi e comunità locali, hanno trasmesso quel senso di appartenenza che da sempre è alla base della fede calcistica. L’Alta Moda milanese, i mosaici di Manchester, la stazione di ritrovo di tutti i tifosi BVB, lo stile inconfondibile delle strutture di Le Corbusier, l’arte del Rinascimento italiano: tutti aspetti vincenti.
Una nuova generazione di giocatori
Le nuove strategie di PUMA hanno richiesto grandi investimenti per ritornare ai fasti antichi, quando ogni calciatore sognava di indossare le King, il modello più iconico del brand reso immorale da talenti come Pelé, Maradona e Cruyff. Quei momenti di gloria sembrano essere tornati, considerata la nuova scuderia di “PUMA Athlete” sparsi per il mondo: Griezmann, Suárez, Bellerín, Agüero, Giroud, Chiellini, Payet, Henry, Buffon, molto probabilmente Lewandowski e Sterling, ma soprattutto Neymar da Silva Santos Júnior. Proprio l’attaccante del PSG ha richiesto risorse mai viste prima, diventando il testimonial più pagato della storia del calcio con i 25 milioni di euro a stagione che arrivano da PUMA - superando anche i 19 che versa adidas nella casse di Messi e i 16 di Nike per CR7. Aver perso negli anni simboli sportivi come Usain Bolt ha costretto l’azienda fondata da Rudolf Dassler a riprogrammare tutti i piani. E quando il mondo va più veloce del tuo pensiero, go big: rischia, osa e ribalta la situazione.
La nuova generazione si collega anche alla nuova rapidità di esecuzione e decisione del management di PUMA. In un’intervista rilasciata a L’Equipe, il CEO dell'azienda Bjorn Gulden ha svelato alcuni retroscena sull’accordo economicamente più importante della storia degli endorsement sportivi e tra questi c’è proprio il concetto di velocità decisionale:
"Sono stati suo padre e il suo management a rivolgersi a noi. E, naturalmente, quando il team di Neymar chiama, tu rispondi. [...] Quando il suo entourage ci ha comunicato che probabilmente avrebbe lasciato Nike, abbiamo risposto che saremmo stati lieti di discuterne, ma solo quando il suo rapporto con Nike sarebbe stato definitivamente chiuso. Nel momento in cui ci hanno assicurato che lo era, la trattativa è andata avanti molto rapidamente. Ora prendiamo le nostre decisioni in maniera veloce. Questa crisi causata dal covid-19 ha rivelato chi è flessibile e chi non lo è. L'accordo con Neymar ha sorpreso molto perché la gente non si è accorta che stava lasciando Nike e non si aspettava che PUMA andasse così veloce."
Bjorn Gulen, CEO di PUMA
Nel giro di 30 giorni, PUMA è riuscita a passare dai primi contatti ad uno shooting completo per annunciare la firma di O’Ney. A metà agosto erano iniziate le prime trattative e il 12 settembre la firma del Diez del PSG era sul nuovo contratto.
La forza del marketing e dei social media
La scalata verso le vette di un mercato in continua evoluzione è iniziata ad inizio 2010, quando il nuovo millennio è conciso con una cambio di strategie marketing e comunicazione che hanno cambiato il volto del brand. Nuovo target, nuovo linguaggio e una forma di dialogo con il mercato che per anni ha segnato la differenza tra PUMA e i due colossi Nike e adidas. Nel 2017, però, arrivano i primi importanti risultati: nello studio sull’influenza dei marchi di abbigliamento sui social network di Insightpool, PUMA si è posizionata quarta, dietro a Louis Vuitton, Chanel, Christian Siriano ma davanti ai due competitor principali.
La crescita sui social è stata seguita dall’evoluzione dei contenuti che nelle ultime stagioni è al pari di quelli dello swoosh e delle three stripes. La qualità delle campagne - siano esse dedicate a club o a lanci di nuove collezioni o collaborazioni - è migliorata in maniera direttamente proporzionale alla brand reputation di PUMA. Le idee creative sono legate sia alle radici dell’azienda sia al futuro delle collabo, come dimostrano le collezioni con KidSuper, la partnership con Rhude e il lancio di grandi classici reinventati in chiave moderna. Anche il coinvolgimento social dei giocatori è cambiato nel corso del tempo, come dimostra la lettera di un giovane Neymar in cui racconta il sogno di vestire PUMA per essere come i suoi idoli di infanzia. C’è tutto: l’heritage di un brand storico, gli anni più gloriosi e il futuro che appartiene sempre di più alla star per eccellenza delle nuove generazioni.