FIFA e PES saranno le nuove frontiere del calcio-moda?
L'ultimo caso di Roma con Brain Dead ne è l'esempio più importante
04 Dicembre 2020
Era 2017 quando una rivoluzione estetica e culturale trasformò il mondo del calcio e quella della moda. La maglia da calcio passò dall'essere un item sportivo a oggetto di moda, carico di rimandi e significati con cui giocare e interpretare. Il trend cavalcò l'onda crescente dello streetwear e pian piano dalle banlieue di Parigi fino alle strade di Milano, tutti indossavano una maglia da calcio. Si sviluppò un vero e proprio movimento che portò ad una miriade di release, collezioni, collaborazioni, drop, tornei ed eventi. Il trend è nato nelle strade e nei campetti, ma piano piano è arrivato fino ai piani più alti del calcio, basti pensare alle collaborazioni tra Jordan x PSG, Palace x Juventus o HUMAN RACExadidas. Ma come ogni trend, ogni bolla è destinata a scoppiare, per cui vale lo stesso discorso che Virgil Abloh fece sullo streetwear: quante magliette da calcio possiamo arrivare a comprare?
In questi anni si era creato un ecosistema di mini-brand, community e squadre - da Tokyo fino a Los Angeles, passando per Milano, Parigi e Londra - con un evidentemente problema di sovrabbondanza di prodotti per un mercato di nicchia come quello degli appassionati di maglie. I prezzi molto alti delle maglie, ma soprattutto la pandemia, dove essendo limitato al massimo lo sport e la sua visibilità, l'interesse per le maglie è calato. Di conseguenza, l’industria del fashion si è stancata di indossare le maglie da gioco per andare alle sfilate ed è stato il momento in cui molti brand hanno chiuso o ridimensionato le proprie aspettative.
Oggi però a rilanciare un trend che stava iniziando la sua parabola discendente sono arrivati i videogiochi - FIFA e PES su tutti - che hanno attinto alla creatività di questi collettivi riuscendo a risolvere il problema principale - il sovraffollamento -, i costi di produzione e la distribuzione rispetto alle vendite. Si tratta di un’operazione WIN-WIN in cui i FIFA e PES riescono a mettersi sulla scia di altri videogiochi - come Animal Farm, League of Legedes, The Sims - che da tempo hanno reso la customizzazione dell’apparel digitale uno degli asset principali. Mentre, dal lato brand e community creative, è un modo per rilanciare la propria creatività, sperimentare e soprattutto raggiungere un pubblico potenziale molto più ampio.
I marchi si sono inseriti nel gaming perché vedono in esso una nuova visibilità, come nel recente caso di Football Manager. Il popolare videogioco per allenatori fittizi ha creato il Football Manager Football Club, una squadra che in realtà è una community, ma che ha una sua divisa personalizzata, con sponsor Hummel. Grazie a questo il brand danese riscuote una grandissima visibilità in quanto marchio esclusivo di un videogioco fra i più popolari al mondo. É sempre lo stesso discorso: il brand guadagna in visibilità, il gioco diventa più attraente e completo. Il legame si interseca fra pubblicità e competizione con gli altri marchi, in un contesto in cui brand hanno capito che non possono non interessarsi al panorama virtuale. Non è un caso che la Roma abbia presentato il quarto kit disegnato da Brain Dead su PES, scegliendo il virtuale come apripista per la realtà.
A livello di business la moda digitale è l’unicorno del momento: tutti stanno cercando un modo per entrarci e monetizzarla, ma in molti si stanno scottando. Le sfilate della scorsa stagione sono state un fallimento, ma ci sono eccezioni. Ad esempio, Gucci è il brand che sta aggredendo meglio il mercato di digitale. Un mese fa Alessandro Michele ha presentato la prima sneaker interamente digitale, per la cui presentazione è stato inaugurato il Gucci Sneaker Garage, dove gli utenti possono vestire gli avatar come vogliono e customizzare o creare ex novo le sneaker del brand.