L'estetica dell'oratorio
Breve analisi di stile e abitudini nei campetti delle chiese, fra goleador e orari da rispettare
15 Marzo 2021
Campanili, parroci, campetti spelacchiati e Estathé come terzo tempo sono stati un tratto della vita calcistica di molti sportivi, che ha accomunato generazioni, dilettanti, e campioni. Paolo Maldini, ad esempio, ha detto più volte ai giornalisti di tutto il mondo che la sua infanzia l'ha "vissuta all'oratorio" (il suo, a Milano, era quello di Piazza Pio X). Anche Francesco Totti, pur senza specificare, non ha nascosto il suo inizio da enfant prodige negli spazi sportivi delle chiese romane.
Le partite all'oratorio sono state un must dell'infanzia di tutti, ma che oggi, come molte cose, sono anche ciò che non c'è più. Mancano perché il coronavirus si combatte anche con l'isolamento e le distanze, i principi più antitetici ai valori dei campetti dell'oratorio. Non è solo si smarriscono certe dinamiche - si creano amicizie, si pratica attività fisica all'aria aperta, i genitori sanno che i propri sono all'oratorio - ma oltre alla questione sociale, c'è un fatto di vita: ci sono dei momenti e dei costumi che solo all'oratorio (o in pochi altri luoghi sportivi al mondo) si possono vivere.
Non c'è da vergognarsi nel dire che esiste un'estetica dell'oratorio, un codice made in Italy che unisce il mondo dei più giovani, più dei videogiochi e delle figurine. Gli appuntamenti al campetto della chiesa, con pallone sottobraccio e felpa per non prendere freddo la sera stretta sui fianchi, sono stati una riproposizione realistica del FIFA Street che la sera, con orari più o meno elastici, i teenager spostavano virtualmente sulla PlayStation (1,2,3).
Il Set Place
Ognuno ha avuto il suo oratorio, ed è chiaro che l'urbanistica del quartiere ha alterato la nostra percezione dello sport - all'oratorio non si è giocato solo a calcio, ma anche a basket, pallamano, qualcuno anche a tennis. Chi abitava in centro ha frequentato campetti più piccoli, incastrati fra le case e i palazzi. Vigeva, in pratica, molto di più la regola della sponda. Mentre chi era di casa più lontano, verso la periferia, allora poteva disporre di più metri quadri e, se fortunati, anche di più campi. La vista di finestre e campetti poteva provocare qualche tensione per l'ipotetica presenza del pubblico.
La qualità del terreno di gioco è altrettanto importante da considerare. Giocare sull'asfalto o nella superfice di quello da calcetto era ben meno godevole dell'erbetta (anche sintetica, spelacchiata, consumata). Dunque, in base a quello, sono cresciute generazioni locali di tosti terzini e attaccanti con l'equilibrio inscalfibile.
Gli outfit
Un punto fondamentale dell'estetica dell'oratorio e che permette di riconoscere chi sono in strada i ragazzini appena usciti da una partitella sono le maglie. Da piccoli non si ha la percezione che può avere una maglia hype (come, ad esempio, quella della Nigeria): si vedono un sacco di maglie mainstream. CR7 della Juventus, Messi del Barca, Ibra del Milan, qualcuno aveva Materazzi dell'Inter e l'immancabile Totti della Roma. Poi ci si evolve e, col tempo, si inizia a capire che è bene affermare il proprio stile con un po' di selezione. Si cresce dentro mostrando le nuove maglie fuori. Così, a 13-14 anni, iniziano a vedersi divise originali come una maglia del Siena, una del Torino, della Sampdoria.
Non si giudica nessuno dal calzettone. O meglio, chi ce l'ha si capisce si tutela per la pavimentazione irregolare. Ma generalmente si incontrano più fantasmini e calzini normali, d'altronde, tutti sanno che non ci sono allenatori o arbitri a correggere l'outfit di chi gioca. Solo, come su FIFA Street, qualcuno sceglie di giocare con la felpa anche a giugno - ma di solito, non sono di alcuna squadra.
Gli scarpini sono un altro apparato dell'estetica dell'oratorio che definisce un calciatore provetto. Infatti, molti già da piccoli capiscono l'importanza di avere scarpe con i tacchetti giusti, quando utilizzare questo o quel modello. Di solito, però, le "scarpe per l'oratorio" sono una roba da fissati. Quando si è piccoli non si ha poi troppa voglia di scegliere quale scarpino è migliore dell'altro né tanto meno sacrificare la spesa di un qualunque regalo per una Munich più comoda per la partita del pomeriggio.
D'altronde non serve essere i più belli al campetto dell'oratorio, quanto arrivare prima al campo, essere pronti a 2-3-4 ore di partite e sfidare cicli di coetanei e non. L'importante, quando si è piccoli, è esserci. Praticamente l'unica cosa che non si può fare ora.