Un mito della provincia: la storia di Asics
Da Wembley con la Sampdoria al Castellani di Empoli e al Picchi di Livorno
02 Aprile 2021
I più di 72 anni di storia di Asics raccontano che prima di diventare un punto di riferimento nello streetwear e nella moda, il brand è stato soprattutto un marchio sportivo. Nato in Giappone come azienda di scarpe da basket da Kihachiro Onitsuka, negli anni Asics ha poi aggiunto alla sua produzione materiali per tutti gli altri sport, dalla corsa al nuoto, dal volley al rugby. Ma il calcio, che è lo sport più praticato al mondo, Asics l'ha scoperto dopo, sul finire degli anni Ottanta. Nonostante possa sembrare tardivo l'ingresso nel pallone per un'azienda nata nel 1949, in realtà il marchio giapponese è stato capace di lasciare il segno. Soprattutto in Italia, dove per più di un decennio, il brand ha costruito un legame molto forte con alcune medio-piccole realtà.
Per molti tifosi italiani, infatti, Asics è identificabile soprattutto come un brand della provincia. Una definizione che non definisce uno sguardo negativo o diffamante, tutt'altro. Asics è riuscito a creare un'identità perfetta per squadre con un certo budget e un'organizzazione con risorse limitate e un tasso di interesse basso, i cui prodotti dovevano essere confortevoli, non necessariamente impressionanti come estetica. Anche se in realtà non è stato sempre così, e anzi, l'ingresso di Asics nel calcio italiano inizia da un punto di partenza altissimo.
Nel 1989, Asics compare ai piedi di Franco Baresi, libero del Milan, e Gianluca Vialli, bomber della Sampdoria, entrambi con le Testimonial, uno dei primi modelli per il pallone disegnati dall'azienda di Onitsuka. Ma nonostante l'ingresso in Italia in grande stile, il vero boom però Asics lo fa poco dopo, durante gli anni Novanta. Le divise firmate dal marchio giapponese invadono l'Europa, in particolare l'Italia, dove il brand si afferma parallelamente alla crescita del calcio italiano.
Nel 1990 chiude un accordo con la Sampdoria, la prima squadra di calcio italiana ad avere rapporti con l'Asics: il sodalizio proseguirà ininterrottamente fino al 2004. I blucerchiati possono definirsi la squadra che meglio ha rappresentato il boom di Asics tramite le sue maglie, capace di portare il brand nipponico nel 1992 in finale di Champions a Wembley e prima ancora di renderlo campione d'Italia. Nel 1992 firma anche il Lecce, e al Via Del Mare, il brand produrrà maglie fino al 2013. Eppure, è nel 1994 che Asics raggiunge lo zenit del suo merchandising in Italia. In quell'anno, infatti, oltre che con l'Atalanta (ai tempi a cavallo fra la Serie B e la Serie A) Asics diventa sponsor dell'AS Roma. In quel perido già giocava Francesco Totti, ma la Roma non andava benissimo e, alla fine, il rapporto fra i giallorossi e il marchio asiatico durerà solo tre stagioni - con alcune maglie comunque di ottimo design.
Dopo le prestigiose esperienze a Genova e Roma, ad Asics rimangono dei lunghi contratti con brand di realtà sportive minori, a cavallo fra la Serie A e la divisione cadetta. Ma è proprio lì che si cementifica il rapporto di Asics col calcio italiano. Perché il logo disegnato da Herb Lubalin è comparso sul petto di Cristiano Lucarelli a Livorno, su quello di Chevanton a Lecce, di Cacia a Verona, di Ciccio Tavano a Empoli. Ha disegnato, Asics, le maglie per i re della provincia italiana del Ventunesimo secolo, perché fra gli anni Novanta e i giorni nostri, quelle divise si sono viste al Genoa (dal 2008 al 2012), Torino (dal 2001 al 2008), e poi con Cagliari, Empoli, Livorno (al Picchi addirittura dal 1993 al 2006), Messina, Brescia, SPAL, Hellas Verona.
Anche nel calcio europeo Asics ha registrato delle ottime produzioni. In Inghilterra il punto più alto l'ha raggiunto con l'Aston Villa e il Norwich, quando dei Canaries non solo fu sponsor tecnico ma anche jersey partner.
Il Lecce, l'Atalanta e il Livorno, che appunto l'hanno avuto per più di un decennio, sono l'emblema della comodità di Asics nel calcio italiano: prodotti semplici, un pattern tendente alla tinta unita, pochi esperimenti, buoni accordi economici. In pratica, Asics era una certezza, ma lentamente, ha subito un picco. Perché se negli anni Novanta era un brand in totale ascesa - arrivata alla finale di Champions con la Sampdoria e firma sulla maglia di un top club come la Roma e, poi, nel Duemila, firma su mezza parte destra della classifica di Serie A - adesso le sue apparizioni nel calcio sono rarissime. A parte il Vissel Kobe, squadra della città in cui è stato fondato il marchio e in cui gioca il testimonial Iniesta, non c'è alcun club nelle prime categorie del mondo a vestire Asics. Anzi, si vede molto più sui piedi dei giocatori che sul loro corpo.
Infatti, più che le maglie, Asics ha costruito la sua icona nel calcio anche grazie agli scarpini. Oltre alle mitiche Testimonial di Baresi, sono diventate indimenticabili le Tiger (a cui, tramite la tecnologia GEL, il brand ha realizzato uno dei suoi modelli di sneakers più famosi), le Tigreor, le Menace e le Lethal. Comodi e a buon prezzo, gli scarpini di Asics sono stati uno dei prodotti sportivi più nazional popolari per vestire i piedi dei calciatori.