La salute mentale degli atleti deve essere una priorità
Il ritiro di Naomi Osaka dal Roland Garros è solo l'ultimo di tanti casi
01 Giugno 2021
La salute mentale nello sport sta diventando un tema sempre più centrale e il ritiro di Naomi Osaka al Roland Garros 2021 è la punta di un iceberg che è diventato molto più visibile grazie al coming out di Kevin Love. La tennista numero 2 del ranking ATP alla vigilia del French Open aveva dichiarato che avrebbe disertato le conferenze stampa del torneo perché a volte le interviste equivalgono a "prendere a calci le persone quando sono a terra". Dopo 15.000 euro di multa, Osaka ha deciso dii allontanarsi dai tornei dello Slam per dare priorità alla sua salute mentale, minata soprattutto da "interazioni con persone che dubitano di me e che hanno avuto un effetto dannoso sulla mia vita".
Avere debolezze, soprattutto quando si è al top della propria forma o quando si ha il massimo della visibilità, sembra essere diventato un problema. Il lungo sfogo sui social di Naomi va proprio in questa direzione:
La cosa migliore per tutti e per il mio benessere è che mi ritiri. Non ho mai voluto essere una distrazione. La verità è che ho sofferto di attacchi di depressione dopo US Open 2018 e ho avuto davvero difficoltà a farcela. Non uso con leggerezza il termine di salute mentale. Mi prenderò del tempo anche fuori dal campo e quando sarà arrivato il momento, collaborerò per migliorare la vita di tutti gli attori del circus.
La questione diventa ancor più marcata quando atleti di ogni disciplina iniziano a soffrire delle controindicazioni dello stress. La parte più intima e umana di player dello sport sembra andare in contrasto con la figura dei superuomini e delle superdonne che ritraggono la maggior parte dei media. Nell'attimo in cui i grandi sistemi organizzativi - che sia la FIA, la FIFA, l'ATP o la NBA - fanno prevalere gli interessi di carattere commerciale sulle priorità psico-fisiche dei giocatori, lo sport ha già perso il suo valore fondamentale.
Oltre al già citato Kevin Love - giocatore dei Cavaliers che nel 2020 con una emozionante lettera pubblicata da The Player Tribune apriva il vaso di Pandora e che ha aperto la prima "Mental Health Gym" al mondo - la lista degli sportivi che si sono esposti sulla questione della salute mentale è davvero lunga: da esempi calcistici come Héctor Bellerín (la cui salute mentale è stata messa a dura prova durante l'infortunio, una trafila incredibile raccontata nel suo documentario) a Gigi Buffon, fino a stelle NBA come DeMar DeRozan, il primo a fare eco alle parole forti del collega di Cleveland, passando per Lewis Hamilton e Michael Phelps.
Le organizzazioni più pronte - siano essere club, federazioni o leghe - hanno iniziato a prendere seriamente la questione. Adam Silver, commissioner NBA, ha dichiarato a più riprese che "nonostante i giocatori abbiano stipendi da milioni di dollari, sono davvero infelici" e ha fatto seguire queste dichiarazioni con il primo programma strutturato per aiutare gli atleti in difficoltà: si chiama Mind Health e supporta i giocatori con terapie specifiche per gestire stress, sintomi di depressione e altri effetti collaterali della loro vita sportiva.
La salute mentale viene prima di ogni altra cosa, perché prima di essere considerate superstar, fenomeni ed eroi, sono soprattutto persone. Persone che hanno debolezze, che hanno background diverse e che interiorizzano i riflettori costantemente puntati addosso in maniera diversa. C'è chi riesce a gestire tutto e chi invece ha bisogno di un supporto. Parlarne, esteriorizzare i problemi è il primo grande passo per sfatare uno dei tabù più grandi dello sport system.