La storia di "It's coming home"
L'inno perfetto per descrivere come la cultura inglese interpreta il calcio
08 Luglio 2021
Le cose certe di questa incredibile edizione di EURO 2020 sono poche, ma tra queste c'è la solidità dell'Italia di Roberto Mancini, la bellezza romantica nel rivedere gli stadi pieni e nel risentire i boati degli stadi e il classico tormentone inglese "It's coming home". Si sente praticamente ovunque tra i viali attorno a Wembley, nei pub inglesi ma anche nelle strade che portavano all'Olimpico di Roma, dove i Tre Leoni hanno raggiunto la semifinale. La storia che c'è dietro uno dei più longevi inni non ufficiali di una nazionale è tanto incredibile quanto legata strettamente legata alla cultura sportiva inglese, descritta magnificamente da FourFourTwo. La prosa di Gary Parkinson analizza verso per verso la canzone che nel 1996 - anno dell'edizione degli Europei in Inghilterra - scrissero due comici inglesi come David Baddiel e Frank Skinner sulle note dei Lightning Seeds.
Storia che sintetizza anche Gareth Southgate, condottiero di questa nuova wave inglese, che in conferenza stampa ammette che "Non abbiamo una storia calcistica positiva come crediamo. Non siamo mai stati in finale agli Europei, loro hanno un Europeo e sono abbastanza vecchio da ricordarlo. Hanno fatto più di quello che abbiamo fatto noi nella storia e questo aspetto la gente tende a dimenticarlo". Un sentimento di nostalgia, quello cantanti in "It's coming home" che però poggia su narrazioni distanti dalla realtà, perché escluso il mondiale del 1966, la nazionale inglese non ha mai dato l'impressione di essere vicina ad un traguardo importante.
La definizione di "estasi dell'agonia" è la migliore che si possa trovare, in quello che è un inno all'identità e al senso di appartenenza, ma anche un grido di disperazione e di pessimismo vista e considerata la maledizione che dal 1966 incombe sui risultati della nazionale inglese. "Aggrapparsi alla quiete della disperazione è il metodo inglese" citando Time dei Pink Floyd ed è la fotografia di come la cultura calcistica inglese vive la nazionale, le sconfitte accumulate in tutti questi anni e le delusioni che si sono susseguite torneo dopo torneo, partita dopo partita. Il pessimismo cosmico dei britannici è una caratteristica riconosciuta in tutto il mondo e il calcio esaspera questo concetto, vivendo "non con la negatività assoluta ma piuttosto con il solito leggero sconcerto che le andranno in un certo modo".
Ma i tempi del pessimismo, della rassegnazione e dell'attesa di un esito che sembra essere scontato stanno finendo. La nazionale di Gareth Southgate ha riacceso un Paese intero, restando sulle note di "It's coming home, It's coming, Football's coming home" vista anche la finale nel tempio del calcio di Wembley. I tempi sembrano maturi per "far tornare a casa il calcio" sotto forma di coppa e la fiducia sembra essere in vantaggio su quel disfattismo che accompagna i Three Lions da anni.
Sterling, Kane, Stones, Grealish sembrano aver tracciato una strada diversa ad EURO 2020, distante da quei "trent'anni di dolore" (Thirty years of hurt) che raccontano i Lightning Seeds. Ma c'è sempre da ricordare che "ognuno sente di sapere già il risultato, l'hanno già visto prima e sanno che l'Inghilterra la butterà via" (Everyone seems to know the score, they've seen it all before, they just know, they′re so sure that England's gonna throw it away). C'è tutta la cultura calcistica inglese in quattro semplici parole: la consapevolezza di essere i favoriti per poi tradire le aspettative, la rassegnazione nel sapere che ci sarà un'altra delusione, lo sconcerto preannunciato di una sconfitta imminente.
Il jingle autoironico che ha cambiato la percezione del football inglese non è mai cambiato negli anni e anche in questa nuova scalata sta accompagnando gli inglesi. Loro sperano di riuscire ad invertire la rotta, noi invece vogliamo che resti un fantastico inno culturale del "beautiful game" che dal 1996 racconta la condizione di milioni di tifosi inglesi.