La storia e le ispirazioni dietro la maglia dell'Hellas Verona
Intervista a Francesco Ciampa, la mente dietro i kit danteschi degli scaligeri
20 Settembre 2021
Il primo e il terzo kit prodotto da Macron per l'Hellas Verona ha un pattern significativo che unisce tutti gli elementi di una maglia moderna: storytelling, estetica, riferimenti culturali, legame con città e tifosi, attenzione ai dettagli. Un processo creativo che dura mesi e che implica studio, ricerca, lavoro con i designer del club e del brand, tutte fasi che servono per arrivare ai concept che verranno presi in analisi prima di battezzare quello che andrà in produzione. Anticipare i trend, capire le sensazioni e gli umori dei tifosi e far matchare l'estetica di una squadra e di una città sono i compiti principali delle menti dietro le maglie. Abbiamo chiesto a Francesco Ciampa, attuale Marketing & Communication Manager dell'Aquila Basket Trento ed ex product manager dell'Hellas Verona e artefice delle maglie che celebrano Dante Alighieri. Francesco ha seguito il processo creativo, partendo dall'idea e arrivando fino in fondo. Ci ha spiegato come si uniscono tutti i punti, cosa serve per andare oltre il campo e quanto importante sia il racconto concreto che si crea dietro un kit.
Quale parte del processo creativo e produttivo è più delicata e richiede una maggior attenzione?
Il concept e lo storytelling sono centrali nella realizzazione di una maglia moderna, un capo che sia in linea con le aspettative estetiche ed emozionali di ogni singolo tifoso. Non è un caso che le società calcistiche più evolute abbiano capito come sia necessario partire da una storia per arrivare alla maglia. E poi ci vuole un team competente alle spalle e all'Hellas mi sono potuto rapportare con un grande professionista come Luca Rossi che ha agevolato non poco il mio lavoro. Oltre a Matteo Viscione, tifosissimo giallo-blu, e a tutto l’ufficio marketing e commerciale del Verona. Senza di loro sarebbe stato impossibile fare qualsiasi cosa. E vedrete le maglie del prossimo anno..che, prima di andare via, ho curato insieme a tutta la squadra e che ha messo su carta Sabrina Gnisci, una grafica molto brava e malata di calcio.
Come si coniugano tutte le componenti (storiche, emotive ed estetiche) di una maglia in un unico grande progetto?
Sensibilità, come detto, e curiosità. Si parte da questi due pilastri senza i quali non si dovrebbe neppure approcciare l’impresa. Sensibilità e curiosità che si coniugano, poi, con il rispetto del club declinato nella sua storia e, soprattutto, nella sua tifoseria. Bisogna cancellare tutte le proprie certezze e reinventarsi ogni volta, se ci pensiamo bene è una regola di vita oltre che un modus operandi.
Quanto incide un buon racconto - tradotto in termini di storytelling - della maglia nell’economia della release di un kit?
È fondamentale. Traccia la linea per ogni tipo di comunicazione rendendola vincente. Il tifoso di oggi è molto più attento e smaliziato rispetto al passato, capisce subito se dietro al prodotto proposto non c’è nulla. Così capita anche nel mondo dello streetwear, da dove vengo. Lì, poi, c’è una consapevoelzza nell’acquisto che conforta chi decide di andare sul mercato con una storia da raccontare.
La maglia è piena di dettagli: dalla cancellata delle Arche Scaligere alla frase del canto XVII del paradiso, fino ad arrivare al claim "Nel nome di Verona". Da veronese acquisito, a quale dettaglio sei più legato?
Ogni veronese è legato a doppio filo alla "texture" presente sulla cancellata delle arche scaligere. Un patrimonio cittadino diffuso, una seconda pelle per moltissimi. Nel vero senso della parola, visto che tanti tifosi hanno tatuato quel motivo sul proprio corpo. E da qui sono partito per creare le due maglie (la prima e la terza) che ho voluto, e firmato, personalmente. Ma io, che sono veronese d’adozione e non di nascita, sono particolarmente affezionato ai versi con cui Dante parla di Bartolomeo della Scala chiamandolo il Gran Lombardo.
Quanto tempo ha richiesto la contestualizzazione e la ricerca storica?
Dante non è immediatamente collegato a Verona perché nell’immaginario collettivo è il simbolo di Firenze: la cosa è stata più un ostacolo o un’opportunità?
E qui veniamo alla curiosità, quella scimmiesca che mi ha sempre contraddistinto sin da bambino. La ricerca storica è affascinante ed entusiasmante ma è altrettanto importante immergersi nell’humus cittadino. La mia Verona è il centro storico ma è anche le sue bestemmie, la sua rude working class, la sua follia carnevalesca. Sedersi al tavolo di un’osteria e parlare di calcio davanti a un goto di vino con il mio cane sotto la sedia è l’idea di felicità più vicina alla mia identità. Solo così ho capito quanto Dante sia centrale nella vita della città.
Che cos’è diventata la maglia da calcio e come si è evoluta secondo te l’estetica calcistica?
"La maglia del Bologna sette giorni su sette" cantava Luca Carboni. Beh, questo ero io da bambino e oggi la maglia da gioco è ancora una seconda pelle per chi sogna di vestire i colori dei propri campioni. Diverso è il discorso per gli adulti che fanno del passatismo una propria bandiera e difficilmente si privano della maglia storica a cui sono, per vari motivi, legati. C’è, però, un’ampia fetta di ragazzi attenti alle tendenze che vedono la maglia di calcio come un capo iconico ma anche funzionale al proprio outfit.