Cos'ha lasciato Virgil Abloh al mondo dello sport
Non solo scarpe e maglie già iconiche, ma una consapevolezza nei propri mezzi che ha inspirato una generazione di giovani atleti
29 Novembre 2021
Quando ieri pomeriggio la notizia della scomparsa di Virgil Abloh ha fermato il mondo, l’aspetto che più mi ha sconvolto non è stata l’improvvisa mancanza del Direttore Artistico di una delle Maison di moda più famose al mondo - Louis Vuitton -, o del designer in grado di rivoluzionare con una sola collaborazione l’intero sneaker game, o del partner in crime di Kanye West o di una delle personalità più influenti nel mondo della moda (e nel mondo e basta). Mi ha colpito la scomparsa di una fonte di energia che credevo inestinguibile, una centrale nucleare sempre attiva, un vulcano in continua eruzione. Più che le scritte, le virgolette, le destrutturazioni, di Abloh ti conquistava la sua intensità strabordante, capace di mangiarsi a morsi la vita, quasi premonitrice del poco tempo a sua disposizione su questa terra.
Abloh non riusciva mai a stare fermo, forse il più perfetto esempio di stilista da laptop che lavorava anche quando scrollava Tumblr o viaggiava in aereo. E se non stava lavorando, stava facendo sport. Skate prima di tutto il resto ovviamente, sono famosi i nei quali è intento a mostrare i suoi trick con la tavola direttamente nel backstage delle sue sfilate rinsaldando il rapporto tra skate e streetstyle. A$ap Rocky in una lunga Oral History uscita nel 2019 su GQ.com ricorda come all’epoca di Been Trill, il collettivo formato da lui, Heron Preston e Matthew Williams, Virgil arrivava ai party per il suo turno da DJ direttamente con le Nike Yeezy Red October distrutte dopo aver skateato tutto il giorno.
Ma Abloh è stato uno dei primi grandi nomi della moda street ad interessarsi sul serio al calcio, una sua passione fin dai tempi dell’High School quando in una Chicago dominata dalla figura di Michael Jordan vinceva i campionati regionali con la maglia dei Boylan Titans. Nelle poche foto di quel periodo si vede svettare nelle pose di gruppo, unico ragazzo black tra facce tipicamente midwestern, con la solita serafica tranquillità con la quale lo abbiamo imparato a conoscere successivamente.
Un interesse per il gioco del calcio maturato attraverso i suoi genitori, traferitisi nei sobborghi di Chicago dal Ghana, insieme ad un profondo orgoglio verso le proprie origini tanto che lo stesso Abloh in un’intervista ad Highsnobiety del 2018, interpellato su quale maglia avrebbe mai voluto disegnare rispose senza esitazione proprio per la Nazionale ghanese. Un senso di responsabilità che Abloh ha sempre sentito e nel quale ha infuso la solita generosità, spendendosi in prima persona verso una squadra di Parigi, Melting Passes, composta da migranti senza documenti e quindi impossibilitati a tesserarsi in altre società dilettantistiche. Contattato durante una settimana della moda parigina da Anne Wintour, Abloh ha preso immediatamente a cuore il progetto e si è incontrato con i ragazzi della squadra per disegnare per loro un kit firmato Off-White con il quale scendere in campo sentendosi una vera e propria squadra. Un cerchio che si è concluso quando Abloh ha invitato sedici ragazzi di Melting Passes allo show di Off-White per l’Autunno 2018, tutti con le maglie blu e rosa da lui disegnate.
In pieno stile Off-White ogni maglia è stata personalizzata in modo da distinguersi grazie a piccoli ma preziosi dettagli, e grazie anche all’aiuto di Nike, realizzata a mano nella fabbrica italiana di OF. Riflettendo sulla customizzazione delle maglie da calcio per Melting Passes Abloh disse a Vogue: “Ognuna è differente perché volevo celebrare l’idea di differenza, perché in questo caso l’uniforme sarebbe stata troppo uniformante”.
Un’idea che Abloh ha poi ripreso quando durante l’Art Basel di Miami è stato chiamato a tenere un workshop organizzato da Nike e chiamato “Soccer Jersey Culture”, durante il quale stampava maglie da calcio inserendo e togliendo dettagli a richiesta dei presenti. E subito dopo è sceso in campo in una partita 7vs7 organizzata in un campetto sul tetto di un palazzo di Downtown Miami, una delle rare apparizioni di Virgil con ai piedi un paio di scarpini.
Un percorso talmente lineare che nessuno si è stupito quando Off-White e Nike hanno annunciato una nuova collaborazione intitolata “Football, Mon Amour” in vista della Coppa del Mondo 2018, sia perché Virgil non si è mai tirato indietro quando c’è stato da mettere le mani in qualche collaborazione, sia perché aveva ampiamente già dato mostra del suo interesse verso le uniformi sportive già dal lettering delle maglie di Pyrex Vision. La collezione si è inserita nel flusso di rivalutazione delle maglie da calcio all’interno dell’estetica streetwear, partita da Patta e Palace per poi arrivare fino alle passerelle, nel quale Virgil è entrato con il solito profilo onnivoro e iconoclasta.
Tenendo fede al suo mantra del 3%, secondo il quale si possa creare un nuovo oggetto anche solo modificando l’originale del tre percento, il suo è un approccio più vicino al ready-made che al design, le maglie di Abloh sono una centrifuga di riferimenti. Dal logo del Borussia Dortmund del 1998 al pattern a scacchi della Nazionale croata, passando per le maniche lunghe della Premier allo stemma della Nazionale olandese, Virgil rende omaggio al calcio europeo per il quale ha sviluppato una passione esotica. “Sono sempre stato intrigato dagli sponsor stampati sul petto. Ora che ci penso c’è qualcosa di speciale nel loro profilo grafico, nel dove sono posizionati, c’è qualcosa di unico nelle maglie da calcio [...] Hanno un linguaggio molto specifico dal quale sono intrigato” dirà sempre a Highsnobiety.
Un entusiasmo verso il mondo dello sport che era ampiamente ricambiato, con atleti di ogni disciplina che vestivano con orgoglio le loro sneakers con il nome di Virgil scritto a pennarello sulla suola. Kylian Mbappé che mostra tutto contento le sue Mercurial Zoomfly, Marcus Rashford che fa da modello per le jersey a scacchi, Serena Williams omaggiata da una collezione esclusiva e i tanti giocatori NBA che sono scesi in campo con un paio di Jordan 1 da lui rivisitate. Tutti afroamericani, molti immigrati di seconda generazione come lo stesso Virgil, che hanno immediatamente trovato in lui un’ispirazione e un modello sul quale plasmare la propria immagine. D’altronde il mondo dello sport professionistico, specialmente quello statunitense, ha sfruttato per decenni i corpi degli atleti neri per il loro valore d’intrattenimento senza mai concedergli la possibilità di definirsi come individui.
Una condizione simile a quella vissuta nell’alta moda, dove per anni i grandi brand hanno saccheggiato culture e mode appartenenti a determinati gruppi sociali escludendoli però dall’accesso ai ruoli di potere, difesi da barriere invisibili. Le stesse che Virgil grazie ad un pennarello, delle virgolette e un paio di forbici ha fatto cadere.