Cambiare i loghi sta cambiando il calcio
Il calcio sta diventando un’industria, perderà la sua anima nel processo?
08 Aprile 2022
Recentemente grazie ad un post circolato molto su Twitter riguardo il rebranding di varie società di calcio europee che hanno scelto la strada del minimalismo nel trasformare i loro loghi, molti si sono interrogati sul dove porterà infine quella strada. Se questa aziendalizzazione delle squadre, perpetrata negli ultimi anni in modo sempre più schematico - seguendo gli stessi rigidi bordi che delimitano i nuovi crest - possa avere come risultato quello di strozzare la tradizione e la passione che da sempre ha animato il calcio, quella che spiritualmente viene definita l’anima del gioco.
Football is losing its soul pic.twitter.com/vPa0yiq2te
— dan (@hardmandesign) March 26, 2022
Una domanda che periodicamente torna ad affacciarsi, sospesa in una tensione tra nostalgia e fatturato, alla quale è difficile rispondere con una soluzione semplice. Da un lato l’attrazione verso un passato idealizzato, fatto di ricordi fanciulleschi e leggeri, e la necessità di innovare costantemente per mantenere il passo con il resto dei campionati e delle squadre. In mezzo ci sono i loghi delle squadre, i simboli designati a mantenere vivo il rapporto con la tradizione ed allo stesso tempo essere la porta principale per i nuovi arrivati.
Dagli albori del calcio organizzato, le squadre hanno sempre inserito nei propri stemmi delle forme, dei colori e degli elementi che fortificavano il rapporto tra la società e la città o luogo di provenienza. Un rapporto che ha alimentato l’amore per il calcio giocato, che in molte occasioni ha tracimato il semplice fascino di 22 uomini che corrono dietro ad un pallone, e che tocca le corde più intime dell’appartenenza e del senso di comunità. È quindi facile immaginare come ogni alterazione agli stemmi originali sia visto da molti come una bastardizzazione di quei valori, una diluizione del senso iniziale che ha portato alla fondazione del club.
Allo stesso tempo il calcio non può rimanere cristallizzato in un presente eterno, e come tutto deve costantemente aggiornarsi per rimanere al passo con i tempi. In particolare la necessità di affrontare un mondo sempre più globalizzato nel quale i club sono diventati grossi conglomerati più vicini alla finanza che allo sport giocato, rimuovendo quel rapporto che è stato alla base della costruzione di tali club. E tale rivoluzione è raccontata dalle continue modifiche apportate ai crest, una linea evolutiva sulla quale è possibile leggere le epoche, le mode e i trend negli ultimi cento anni di design. L’ultima di esse è sicuramente quella che va verso un minimalismo di stampo aziendale, con loghi vettoriali più adatti ad essere inseriti su una brochure pubblicitaria piuttosto che ad istoriare delle maglie da gioco.
La comunicabilità ha sostituito l’identità, e questo ha scatenato le frange più tradizionaliste dei tifosi, a cui evidentemente certe modifiche non sono piaciute. Perché non erano destinate a loro ma ad un pubblico di neofiti, a cui il calcio non è mai arrivato prima d’ora in modo così diretto com’è possibile ora attraverso la filiera dei social media e di internet, linguaggi che richiedono una nuova formulazione grafica. I nuovi loghi sono stati resi creati per essere leggibili su vari formati senza creare confusione, in particolare per essere adattabili in vari formati, dall'icona per l'app in 120px fino alla stampa sulle maglie da gioco. Una flessibilità che mal si adattava ai vecchi loghi disegnati a mano e spesso non congruenti tra di loro.
Una distanza tra analogico e digitale che potrebbe essere metafora dei nostri tempi, e che divide due modi diversi di intendere le finalità dello sport o di considerare le finalità ultime di una squadra di calcio. Anche la divisione semantica che si propone oggigiorno tra stemmi e loghi, i primi associati all’araldica medievale della tradizione calcistica e i secondi ad una standardizzazione aziendalista, nasce da una necessità di contrapposizione manichea e quindi in fin dei conti falsa.
Probabilmente la verità, come spesso accade, risiede nel mezzo, in uno spazio che dovrebbe essere coltivato dalla passione per il pallone e per le sfide che il futuro riserva senza però scadere nell’esaltazione acritica del passato. Forse un pizzico di iconoclastia in un mondo dominato da simboli non può fare poi così male, e provare ad indirizzare il cambiamento rimane più efficace rispetto al volerlo fermare. E infine credere che l'anima del calcio non risieda nei loghi, belli o brutti, antichi o moderni che siano, ma nel gesto infantile e spontaneo di tirare un calcio al pallone.