La lunga strada per riportare il calcio a casa
Siamo stati ospiti di Nike a Londra per la finale dell'Europeo 2022
04 Agosto 2022
Nel momento esatto nel quale il tabellone luminoso si è illuminato rivelando il numero complessivo di spettatori presenti a Wembley per la finale dell’Europeo tra le Leonesse padrone di casa e la Germania, il pubblico ha risposto con un fragoroso applauso, superato solo da quello riservato alle calciatrici in maglia bianca. I 87,192 sugli spalti dell’impianto che tradizionalmente ospita le partite della nazionale inglese sono il massimo raggiunto in qualsiasi partita nella storia della competizione continentale, superando un record che resisteva da 58 anni.Un pubblico eccezionale, che ha spinto le ragazze di Sarina Wiegman alla conquista di quel titolo che mancava in ambito internazionale da 56 anni, facendo tornare a casa il football dopo la delusione dello scorso anno della selezione maschile.
E forse è proprio stato il risultato dell’Europeo 2020 ad aver ulteriormente stretto il popolo inglese attorno alle sue calciatrici, diventate delle eroine in patria e capaci di rompere quella che sembrava essere diventata una vera e propria maledizione. Il calcio inglese infatti negli ultimi decenni ha faticato a imporsi a livello di nazionale, nonostante una tradizione impareggiabile e un movimento fortissimo che coincide con il campionato più potente al mondo, finendo spesso in cocenti sconfitte. Come appunto quella patita in casa per mano italiana, che aveva strozzato in gola il canto “It’s Coming Home” diventato autentico tormentone scandito non curandosi troppo della scaramanzia.
Domenica pomeriggio “Three Lions”, la canzone registrata nel 1996 dal gruppo britannico The Lightning Seeds, si è finalmente potuta alzare sul prato di Wembley mentre in campo le giocatrici inglesi festeggiavano sventolando le bandiere Nike con la scritta Home. Strette dentro l’abbraccio di una nazione intera, hanno realizzato un’impresa che segna una nuova era del calcio femminile. O forse meglio dire del calcio e basta, tornato a una sua dimensione universale e non più legato a divisioni settarie e di genere.
L'aspetto che più colpisce, arrivando in uno stadio esaurito in ogni suo seggiolino già da giorni, è la quantità di tifosi di ogni generazione. Famiglie con figli che già indossano la maglia con i Tre Leoni, uomini con la divisa firmata da Nike e indossata dalle ragazze durante questo Europeo e il variopinto popolo del calcio inglese riunito nel nome di Beth Mead, Lauren Hemp e Lucy Bronze. Un clima di festa che lasciava presagire una serata magica che, nonostante i ripetuti tentativi della squadra tedesca, la zampata in area piccola di Chloe Kelly nei tempi supplementari ha fatto definitivamente sbocciare. La sua corsa quasi incredula verso il centrocampo, togliendosi la maglia imitando Brandi Chastain ha ricordato un altro momento storico del calcio femminile, la finale del mondiale statunitense del 1999.
In entrambi i casi le due atlete vestivano maglie e sport bra Nike, e non è un caso che le due nazionali si ritroveranno il prossimo Ottobre per un match amichevole sempre a Wembley che è già andato sold-out in meno di 24 ore. Una dimostrazione di come il calcio femminile non abbia più bisogno di validazioni e sia un movimento capace di appassionare un pubblico anche più trasversale rispetto a quello maschile. E Nike ha avuto un ruolo chiave nel supportare le atlete e le federazioni anche quando il panorama non era così roseo, spingendo su una narrazione inclusiva e positiva dello sport. Specialmente per quanto riguarda il calcio femminile, che rappresenta per l’azienda statunitense uno dei principali terreni di gioco e sul quale ha puntato molto nel corso degli anni.
Un impegno che abbiamo potuto tastare con mano nel corso del weekend, essendo stati ospiti di Nike a Londra per scoprire le nuove iniziative dello Swoosh per rendere il calcio sempre più accessibile, rivoluzionando sia le tecnologie che lo storytelling attorno al gioco più bello del mondo. Iniziando da un tour nella bellissima mostra “Designing the Beautiful Game” al Design Museum, che esalta il ruolo della creatività visuale e tecnica nel definire le varie epoche del calcio internazionale, e successivamente provando al piede le nuove scarpe da calcio Air Zoom Mercurial con le quali sarebbero scese in campo il giorno successivo le Lionesses. Un modello leggerissimo ma estremamente performante, che si adatta ad ogni movimento del piede grazie all’innovativa tecnologia Air, e definite da un look che si accorda alla prima maglia indossata dalle calciatrici inglesi. Seguendo infatti il motto “look good, play good” che ha definito ogni tappa del nostro soggiorno, l’estetica creata da Nike per le Leonesse ha contribuito a creare una sicurezza in loro stesse che le ha aiutate ad attraversare un torneo pieno di insidie.
Il lungo percorso che ha portato la selezione inglese sul trono d’Europa infatti non inizia con la partita inaugurale di questa edizione contro l’Austria, regolata di misura grazie a Beth Mead, ma risale al 1921, quando in Inghilterra alle donne fu vietato il gioco del calcio. Un divieto che durò per oltre cinquant’anni e compromise quello che era un movimento in grado di rivaleggiare con quello maschile. E ce ne sono voluti altri cinquanta, dalla partecipazione delle Lost Lionesses al Mondiale messicano del 1971 celebrata recentemente anche da Nike e la stilista Martine Rose, affinché fosse organizzato proprio a Londra quello che passerà alla storia come uno degli eventi più importanti del calcio femminile. Cento anni dopo aver vietato alle donne di giocare, quelle stesse hanno riportato a casa il calcio, chiudendo così un cerchio che assomiglia sempre più a un pallone.