2017, l'anno che ha cambiato tutto
Un estratto dal libro Les Vêtements de Football 2017-2022 che verrà presentato il 15 Dicembre a Milano
15 Dicembre 2022
Spesso quando si pensa a quando il rapporto tra il calcio e la moda sia originato la risposta più frequente è “da sempre”. Una risposta tutto sommato vera: è già dagli ‘60 che George Best - il quinto Beatles - viene considerato un'icona culturale, capace di modificare gusti e abitudini di chi lo guarda giocare. E dopotutto sia il calcio che la moda sono prima di tutto fenomeni culturali, capaci di influenzare la società nel suo gusto, nella sua estetica e addirittura nella sua politica. Dopo Best arriveranno gli Hooligans, Stone Island e la Terrace Culture, poi le passerelle, e l’esplosione dell’età dell’enterainemnt, gli anni 2000 oggi così celebrati, le pay-tv, che porteranno il ruolo del calciatore da quello di sportivo a quello di idolo. Un rapporto, quello tra moda e calcio, fino a quegli anni anche - e contro-intuitivamente - molto inglese. Il regno delle sottoculture privilegia lo sportswear ed è lì che determinati brand - spesso italiani - cominciano ad entrare allo stadio, in questo modo permeando il tessuto sociale di quei luoghi. David Beckham sublima questo concetto: lo Spice Boy diventa un qualcosa che interessa a prescindere delle sue performance sportive. Il suo nuovo taglio di capelli fa più notizia del suo ultimo gol, e il suo - pur enorme - talento viene oscurato da una potenza mediatica ed estetica senza precedenti. Sembra tutto pronto per far sì che il mondo del calcio irrompa in tutti i circuiti dell’industria della moda, e non solo in quelli delle collaborazioni sporadiche. Poi però, qualcosa si rompe.
La ciclicità della moda e l’esplosione europea degli sport americani modifica la percezione di cosa è cool e cosa non lo è in relazione al calcio. Il ritorno degli anni ‘90 e la potenza mediatica della NBA rendono il basket terreno molto fertile: lo sportswear dei colossi si contende l’NBA e i collettivi come Pigalle vengono preferiti al calcio. La moda però è sempre ciclica e, di colpo, arriva il 2017.
Cosa succede esattamente in quell’anno? Cosa porta l’intera industria della moda a riavvicinarsi a un mondo che per anni aveva tenuto in bassa considerazione, considerandolo uncool, nazionalpopolare e di difficile collocazione? E’ anche per rispondere a questa domanda che nello stesso anno nss magazine lancia il suo vertical sportivo, nss sports. Il progetto deriva da anni di esperimenti, da una rubrica che prima si chiamava New Sport Side e che vede i suoi contenuti modificare lentamente: dalle jersey NBA e dalle storie di Michael Jordan si passa all’estetica degli imminenti campionati del mondo, i primi in Russia. Nella narrativa comune quei mondiali sono spesso sottovalutati, ma è proprio con l’avvento dei mondiali sovietici che qualcosa comincia a cambiare. Il primo mondiale in Russia si porta dietro la carica innovativa di un paese che vive di calcio che non aveva mai, dalla caduta del Muro, potuto mostrare al mondo realmente quella passione. Per una serie di coincidenze neanche troppo casuali, proprio durante lo stesso periodo che tutta l’estetica che si viene definita “Post-soviet” entra nel suo momento d’oro: quello di Vetements dei fratelli Gvasalia, di Lotta Volkova, dei copy in cirillico di Heron Preston, di Paccbet e dell’esplosione di Gosha Rubchinskiy.
Le football scarf di Gosha e la sua collezione in occasione proprio dei Mondiali Russi - in cui il designer porta in passerella una collezione con adidas ispirata al grande Manchester United e alla stessa nazionale russa - sono fondamentali alla proliferazione comune di sciarpe e maglie da calcio non solo in passerella - dove il calcio aveva tutto sommato sempre trovato una sua collocazione - ma tra le strade durante i periodi di fashion week, nei look dei cosiddetti influencer degli influencer, key opinion leader che modificano silenziosamente l’estetica di un tempo. Ed è esattamente nello stesso periodo che il neonato nss sports comincia a lavorare a Les Vêtements de Football. Come intuibile dal nome stesso del progetto, LVDF risente dell’influenza del tempo, e si immerge nella stessa ricavandone una ispirazione illimitata. Les Vêtements de Football nasce prima di tutto con la volontà di mostrare come sarebbero state le maglie da calcio se avessero avuto la dignità estetica di collaborare con i grandi brand del lusso. Un prodotto volutamente provocatorio, certo, che pescava a piene mani nell’estetica del bootleg che dai tempi di Dapper Dan - e dello stesso Vetements - aveva sfidato la moda a prendersi meno sul serio (e proprio per questo forse ancora più sul serio), ma che arriva a posizionare una versione modificata del logo Gucci - Goal! - su una maglia da calcio circa cinque anni prima di quanto risulta dalla collaborazione tra Palace e la stessa Gucci. È così che Balenciaga diventa Balenciagol, Commes Des Garcons Commes Des Goals - riproponendo l’iconico CGD che il brand rilancerà proprio qualche anno più tardi, ACNE diventa ACAB, Burberrys invece Bomberry e così dicendo. Il nazionalpopolare per eccellenza diventa dunque alta moda e il successo è istantaneo e costante. LVDF viene “featured” dai principali magazine del settore e non, viene invitato a ben tre edizioni di Intersect - la popolare fiera di streetwear cinese - e a due pop-up store in Korea. E’ proprio nell’estremo oriente che quello che oramai può essere quasi definito un brand diventa più popolare che mai. Il calcio è infatti in estrema espansione e nascono quotidianamente fenomeni che mescolano calcio e moda in modo simbiotici: da Real Bristol FC (una fittizia squadra da calcio inglese che produce solo merch) a Nivelcrack fino a City Boys FC. Un movimento che viene da lontano e che anche in questo caso coincide con una Coppa del mondo: quella di Giappone e Corea del 2002.
Ma per spiegare un progetto vincente - soprattutto all’interno dell’industria della moda - non bastano le cause strutturali, servono quelle contingenti. E nel 2017 la stessa industria della moda era stata scossa dal suo più grande terremoto, quello dello streetwear. Non che il fenomeno fosse nato quell’anno, si intende, ma è forse lì che l’invasione dei circuiti dell’alta moda avviene a livelli da cortocircuito: in quell’anno la sneaker più desiderata è la Triple-S di Balenciaga e la collabo più importante quella tra Supreme e Louis Vuitton. L’hacking è dunque completo e le barriere tra cosa può considerarsi e cosa non può considerarsi “moda” cadono definitivamente. Che lo stesso anno le football scarf siano inserite da tutti i media di settore all’interno delle liste dei più influenti trend dell’anno assieme proprio alle Triple-S e alla collabo tra Supreme e LV non è un caso: è l’inizio di una nuova era, quella in cui i confini tra i settori diventano più labili, in cui lo sport e l’intrattenimento cominciano piano piano a diventare la stessa cosa. Un processo enorme e lunghissimo, che la pandemia da una parte ha accelerato e dall’altra frenato bruscamente, ma che ha radicalmente modificato in superficie l’estetica occidentale tutta.
Dal 2017 in più il calcio, lo sport più popolare al mondo, comincia a diventare un pensiero fisso dell’industria della moda: nascono collaborazioni tra squadre di calcio e brand, collezioni ispirate a squadre di calcio, nasce il bloke core e il valore culturale del calcio torna ad essere quello estremamente alto che ne aveva accompagnato l’esplosione della popolarità negli anni ‘90. nss sports, come media, reinterpreta tutti questi accadimenti all’interno di una visione, quella di promuovere tutti gli aspetti non prettamente sportivi del calcio, che condivide con un network di media che negli anni sostituiscono per importanza e influenza i vecchi media calcistici. Parte di quei media confluiscono nel progetto PUMA Influence, a cui nss sports prende parte realizzando una football jersey in collaborazione con PUMA che è un omaggio alla sua città d’origine, Napoli, e al suo rapporto con Kagoshima, in Giappone. Dallo stesso concept nasce la collaborazione con StockX, per la realizzazione di nssMetrostars, un drop esclusivo sulla piattaforma che celebrava Napoli e New York e una delle prime squadre della MLS. Accanto al lavoro quotidiano di informazione e approfondimento legato all’evoluzione del rapporto tra calcio e moda, nss sports ha lavorato come agenzia, portando il suo imprinting nella realizzazione delle campane dell’AC Milan e della Nazionale Italiana, e come incubatore digitale, promuovendo la capsule collection fisica e digitale tra AS Roma e Brain Dead, con il primo kit di sempre della squadra capitolina ad approdare su PES. L’influenza del mondo digitale non è stata infatti secondaria in questo periodo: dal 2017 in poi l’apertura di una certa forma di estetica al mondo del calcio ha prodotto una moltitudine di prodotti interessanti, come il fenomeno dei kit creator, che partendo dalle camerette di digital artist è arrivato a influenzare il design delle principali squadre al mondo.
Una commistione di mondi, idee, intenzioni, estetiche e culture è iniziata nel 2017, rendendo il calcio se non un posto migliore, sicuramente un ambiente culturalmente più interessante e inclusivo. Sono emersi calciatori che, anche collaborando con brand come Bellerin o Rashford, hanno realizzato cose che solo qualche anno prima parevano impossibili, hanno posizionato il calcio in un segmento culturale diverso e, per questo, anche più apprezzabile. E tutto è iniziato nel 2017: partendo da delle nicchie culturali fino alla Coppa del Mondo.