Perché il mantello indossato da Messi è un problema
Mai prima d'ora il paese ospitante aveva piegato alla propria volontà la festa del Mondiale
19 Dicembre 2022
Ieri, al termine di una partita drammatica e leggendaria, si è conclusa l’edizione 2022 della Coppa del Mondo ospitata dal Qatar. E più ancora di Leo Messi, che a 35 anni riesce a coronare il suo sogno mondiale, di Kylian Mbappé, autore di una tripletta in finale, l'indiscusso protagonista è stato proprio il piccolo stato saudita, che è riuscito a piegare al suo volere le richieste di FIFA, Federazioni e media fino a trasformare questo mese in un perfetto capitolo di sport washing che le polemiche riguardo i morti sul lavoro, le associazioni LGBTQ e i presunti casi di corruzione non sono riusciti a scalfire. L'ultimo atto è andato in scena proprio nel momento conclusivo della finalissima, in quello che è da sempre il momento riservato ai vincitori.
Il capitano e il giocatore migliore di questo Mondiale che alza al cielo la Coppa del Mondo, l’oggetto del desiderio di qualsiasi calciatore, è la foto per le prime pagine dei giornali. Quella che negli anni diventerà l’icona che rappresenterà l’intera competizione, e che difficilmente potrà mai essere così simbolica quanto quella vista sul podio al centro del Lusail Stadium. Lionel Messi, dopo aver riportato a 36 anni di distanza da Diego Armando Maradona l’Albiceleste in cima al mondo del calcio, proprio mentre sta compiendo gli ultimi passi che lo separano dai suoi compagni di squadra e dalla gloria eterna riceve la Coppa dalle mani del Presidente della FIFA Gianni Infantino e dall’Emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. Fin qui tutto normale, i capi di stato sono sempre presenti durante le premiazioni e gli stessi Alberto Fernandez e Emmanuel Macron hanno congratulato le due squadre finaliste.
Poi però è successo qualcosa di mai visto prima sul palcoscenico della Coppa del Mondo. Messi viene aiutato a indossare il bisht, un mantello nero semitrasparente con decorazioni in oro che, come spiegherà lo stesso al-Thani è un vestito usato per le occasioni ufficiali, indossato per le celebrazioni. Sarebbe stato quindi un onore per Messi indossare tale abito proprio pochi secondi prima di alzare la coppa che ha inseguito per tutta la sua carriera. In realtà è stato l’ultimo e simbolico modo che il Qatar ha usato per mettere il proprio marchio sull’intera manifestazione, qui in senso ancor più letterale, ovvero coprendo la maglia della squadra in festa. La sacralità della maglia da gioco, che nel caso delle nazionali diventa il vessillo per un popolo intero che in quei colori riconosce la sua tradizione e identità, qui viene oscurata nelle foto ufficiali.
Una situazione unica, che prende di sorpresa lo stesso Messi nonostante con grande probabilità fosse stato avvertito in precedenza, mentre Infantino ride e batte le mani. In questo breve quanto surreale intermezzo, il giocatore più forte al mondo sembra quasi una bambola in mano ai grandi, che si divertono a vestirlo a loro piacimento prima di esporlo sul palco che loro stessi hanno disegnato. Non sapremo forse mai come si è sentito Messi in quel momento, se fosse obbligato a seguire il protocollo qatariota non solamente in quanto capitano della nazionale argentina ma anche giocatore del Paris Saint-Germain, club di proprietà dello stesso Al Thani che lo sta aiutando a trovare le maniche. O se l’adrenalina della coppa ha fatto passare in secondo piano anche questo irrispettoso e degradante siparietto.
Sicuramente un Mondiale che già proponeva grossi interrogativi e punti di criticità non aveva bisogno di terminare in questo modo, confermando l’aggressività dimostrata dalla famiglia reale qatariota lungo questo decennio nel voler piegare la manifestazione calcistica più seguita al mondo alla loro agenda personale. E senza scomodare inutili paragoni con Maradona, l’iconica 10 albiceleste per tutto quello che rappresenta meritava un rispetto diverso da quello ottenuto in Qatar. La maglia di Messi, sporca di terra e sudore dopo 120 minuti di battaglia, doveva essere il ritorno del calcio alla sua dimensione più popolare e universale, la stoffa di cui sono fatti i sogni. Invece la più bella finale della storia dei Mondiali ha dovuto soffrire un epilogo triste e ingiusto, che ha raggiunto l’obiettivo opposto di quello prefissato, mostrare in mondovisione l'atteggiamento predatorio di chi pensava di potersi comprare la passione del pubblico. Purtroppo non andandoci troppo lontano.