Cosa andava di moda l'ultima volta che il Napoli vinse lo scudetto

Il Napoli ha vinto il terzo Scudetto della sua storia, il primo dal 1990, grazie il gol di Oshimen a Udine. E la notte di domenica ha immediatamente creato un parallelo con i festeggiamenti dell'ultimo scudetto azzurro, firmato Maradona. Frammenti di un mondo lontano oltre 30 anni che sui campi della Serie A era dominato da maglie dallo stile classico che oggi si possono fregiare dell’aggettivo vintage. Il Napoli indossava una maglia a tinta unita firmata da NR, l’ultima realizzata in materiale acrilico. Sempre nella stagione 1989/90 NR griffò un’altra maglia iconica, una delle ultime maglie rosse con colletto e bordini delle maniche in giallo della Roma. A farla da padrone era Kappa, con l’azienda di Torino che griffava la maglia del Milan sponsorizzata Mediolanum, la maglia della Juventus e l’iconica divisa bluerchiata della Sampdoria sponsorizzata ERG. La Lazio era l’unica squadra con uno sguardo al futuro in termini di stile: Umbro, alla prima stagione con i biancocelesti, realizzò due divise con colletto a polo e chiusura a bottone, una celeste con colletto bianco ed una gialla con colletto in blue navy.

Se in campo lo stile delle squadre era ben codificato, fuori dal campo si viveva un momento di transizione. Gli anni ’80 erano finiti e con loro se ne stavano andando paninari, punk, i capelli con la permanente, l’ossessione per il fitness e il trucco pesante. Allo stesso tempo gli anni ’90 erano cominciati da troppo poco per poter rintracciare degli stili consolidati ma qualcosa cominciava a muoversi sulla scia dalle uscite musicali dell’epoca. Sul fronte dell'hip hop tra il 1989 e il 1990 vengono pubblicati “3 feet high and rising", primo disco dei De La Soul, “Fear of a Black Planet” dei Public Enemy e “AmeriKKKa's Most Wanted” di Ice Cube, al debutto da solista dopo l’uscita dagli N.W.A. Tre dischi che, al di fuori dell’Italia, cementano l’immagine dell’hip hop come fenomeno culturale con ripercussioni sullo stile fra Timberland, sneakers, pantaloni baggy, t-shirt monocromatiche, salopette di jeans, cappellini con la visiera e bandane. Sul fronte della musica rock, l’hair metal patinato stava lasciando strada al grunge di Seattle: il 1989 è l’anno di “Doolittle” dei Pixies e di “Bleach” dei Nirvana, due dischi che fanno da apripista a capelli spettinati, anfibi, Vans, jeans strappati e camice a quadri il più delle volte lasciate aperte su maglie demenziali o con scritte pessimiste. In poche parole, un look che rendeva cool essere degli sfigati.

Anche il mondo dell’alta moda viveva un momento di transizione. Karl Lagerfield per Coco Chanel per la primavera-estate 1990 realizza una collezione più leggera in cui alterna completi eleganti dai colori accesi a tailleur neri con dettagli in oro e in bianco, in uno dei suoi primi azzardi con materiali non tradizionali. La rivoluzione di Versace si completerà nel 1991, quando lo stilista italiano invaderà le sue collezioni di colori appariscenti e gioielli sgargianti raggiungendo il suo apice nel 1994 quando Nelson Mandela venne immortalato tenendo fra le mani una camicia verde con inserti in oro e ocra firmata da Versace mentre è attorniato dalle top model più famose dell’epoca. Il tentativo di Versace di incrociare gusti più moderni era cominciato però qualche mese prima quando nel 1989 fondò Versus, la seconda linea della casa di moda che si caratterizzò immediatamente per un approccio che diede vita allo stile rock-chic che caratterizzò il marchio da quel momento in poi. Ma nella moda il 1990 è l’anno di è Jean Paul Gaultier: lo stilista francese disegna infatti uno dei pochi pezzi in grado di entrare immediatamente nell’immaginario collettivo, il reggiseno a cono creato su richiesta personale di Madonna per “Blonde Ambition”, il tour mondiale che accompagna l’uscita del disco “Like a Prayer” e che è stato definito il miglior live nella storia della musica pop.