I caschi da ciclismo stanno diventando sempre più strani
Ma quello indossato da Jonas Vingegaard potrebbe essere stato l'ultimo
06 Marzo 2024
Solitamente il ciclismo è visto come uno sport eroico, tutto sudore e fatica, e le immagini di Tadej Pogacar che arriva a Piazza del Campo dopo 80km di fuga per vincere in solitaria le Strade Bianche lo confermano. Allo stesso tempo il ciclismo è stato sempre uno sport dove l'innovazione tecnica ha fatto progredire il rapporto uomo/macchina in modo forse più impercettibile e laterale rispetto alle altre discipline di velocità, ad esempio i motori, ma altrettanto efficace. Una di queste trasformazioni è avvenuta a poca distanza dall'arrivo senese, in un'altra corsa della primavera italiana, la Tirreno-Adriatico. In occasione della prova a cronometro di apertura lungo le strade di Lido di Camaiore Jonas Vingegaard, due volte vincitore del Tour de France e uno dei ciclisti in assoluto più riconoscibili del gruppo, si è presentato al cancelletto di partenza con un casco aerodinamico Aerohead II della Giro Cycling che ha fatto girare parecchie teste. Infatti il nuovo modello realizzato dall'azienda californiana leader del settore ha spostato di uno o due passi in avanti la futuribilità e memabilità dell'attrezzatura ciclistica, trasformando i corridori in comparse di un film di fantascienza.
"È davvero un sogno sviluppare un casco con Giro. Ci dà davvero fiducia come squadra sapere che insieme abbiamo creato il casco più veloce possibile. Quando ero un giovane ciclista, i miei idoli indossavano caschi Giro: non posso credere che ora tocchi a me" ha dichiarato Vingegaard a leggere il sito dell'azienda. Base larga a coprire quasi interamente le spalle del corridore e protuberanza enorme frontale, che rende la testa praticamente irriconoscibile come iscritta in un gigantesco triangolo. Completa il look spaziale una larghissima visiera integrata, per permettere al ciclista di vedere in avanti anche quando è piegato in posizione aerodinamica creando l'effetto Robocop che ha scatenato il web. Ovviamente infatti non sono mancati gli immediati commenti, con il ciclismo che per una volta è riuscito a superare il recinto degli appassionati e far parlar di se anche chi per sbaglio segue solo il Giro d'Italia. Ma se la scelta della Vismo-Lease, la squadra appunto di Vingegaard ha fatto discutere, non è stata l'unica.
Altri team hanno sperimentato con caschi che potessero garantire un vantaggio competitivo nelle prove contro il tempo come il POC Tempor o il Sweet Protection Redeemer e la varietà di head socks accompagnati ai modelli Specialized TT. Ognuno di questi ha ovviamente colpito per come trasformava gli atleti in proiettili lanciati contro il muro del suono, ma sembra che questa volta Giro Cycling e Visma-Lease sono andati troppo avanti. Infatti oltre alle innumerevoli battute sulla fisionomia del casco, in molti si sono interrogati su quanto tale design andasse a compromettere l'estetica di uno sport che, come abbiamo detto in apertura, si definisce attraverso il rapporto tra l'uomo e la natura. E nonostante nel ciclismo il progresso sia continuo e irrefrenabile, bisogna mantenere una certa chiave romantica nel declinarlo, almeno questo sembrerebbe essere il punto di vista espresso dall'UCI in un lungo comunicato arrivato a qualche ora di distanza.
"Per quanto riguarda i caschi prodotti da Giro Sport Design, Rudy Project e Poc," - si legge nella nota - "utilizzati da Visma|Lease a Bike, Bahrain Victorious e diversi altri team, l'UCI riconosce che, sebbene possano aderire al regolamento, questi sollevano una questione significativa sulla progettazione di caschi che si concentrano più sulle prestazioni che sulla loro funzione primaria, ovvero garantire la sicurezza di chi lo indossa". Di fatto dopo aver già vietato dal prossimo 2 Aprile le cuffie interne ai caschi in quanto componenti "non essenziali", l'UCI si appresta a stringere ulteriormente i regolamenti riguardo i caschi utilizzabili in gare ufficiali. Una norma che per molti significherà un ritorno ad un ciclismo più puro, con corridori che assomigliano più ad atleti che a Guardie Imperiali della Morte Nera, ma che dall'altra impedisce ad aziende e squadre di lavorare nello sviluppo di nuove tecnologie che potrebbero rappresentare il futuro dello sport. Purtroppo o per fortuna non vedremo più questi elmi mostruosi sulle teste dei ciclisti, che resteranno confinati a queste prime gare di inizio stagione come prototipi di un futuro possibile ma ancora troppo distante dallo spirito della disciplina.