L'NBA nella sua nepobaby era
Non solamente Bronny, preparatevi per l'invasione dei figli d'arte
23 Ottobre 2024
A quattro minuti esatti dalla fine del secondo quarto di gioco, con perfetta sincronia e con tutti gli occhi dello Staples Center puntati verso il tavolo segnapunti, LeBron James e suo figlio Bronny si sono sfilati le tute gialloviola e sono entrati per la prima volta insieme su un parquet NBA. È stata la prima volta che una coppia formata da padre e figlio giocasse insieme in una partita ufficiale, una eventualità che fino a pochi anni fa sembrava una follia. Invece l'incredibile longevità ad altissimi livelli di LeBron, unita ovviamente alla sua ossessione di voler condividere il campo per almeno un anno insieme al suo primogenito, ha creato questo strano tunnel spaziotemporale dove è stato il padre a riempire la macchina del figlio di cereali prima della partita. Ovviamente tutto registrato, anzi inscenato per andare sui canali social a poche ore dalla palla a due. Perché è inutile negare che questa sia stata la storia che ha monopolizzato le tappe d'avvicinamento a questa 79esima stagione di NBA, più dei Boston Celtics vincitori del titolo e favoritissimi per il repeat, più dell'MVP in carica Nikola Jokic, più dei New York Knicks rinnovati o dei Golden State Warriors all'ultima chiamata.
Gli ultimi mesi, dal Draft di fine giugno ad oggi, sono stati un arco che tendeva a questo momento, ripreso da tutti gli angoli possibili e con i due microfonati in panchina. "Sei pronto?" chiede LeBron al figlio che annuisce mentre non lo guarda negli occhi, una scena che sembra già postprodotta per il documentario che uscirà tra qualche mese su questa storia - perché sappiamo che uscirà - e che rappresenta già oggi uno dei mattoni angolari della legacy del Re. Più del suo quinto anello, LeBron infatti negli ultimi anni ha riversato la maggior parte delle sue energie nello scolpire il suo profilo una volta lasciato il parquet, e la sua principale opera è ovviamente quella creata con il suo stesso DNA. Non è un caso se il sottotitolo del secondo capitolo di Space Jam era appunto A New Legacy, un tema molto caro a LeBron, nella speranza che il risultato sia migliore del sequel del cult interpretato da Michael Jordan. "Mi pento ancora di avergli dato il mio nome di 14 anni" ha confessato anni fa LeBron, gravandolo così di un peso che storicamente ha schiacciato tutti i figli dei grandi campioni dello sport. Bronny però ha superato le difficoltà di portare un nome così importante e tutte le diffidenze legate al nepotismo che LeBron ha certamente forzato per portarlo a giocare con lui a Los Angeles.
Chi sono i figli d'arte
In una NBA che ha perso la sua brillantezza nel creare storylines credibili, affascinanti e coinvolgenti oltre le performance sportive e personaggi bigger-than-life capaci di generare interesse e influenzare i consumi e le aspirazioni anche tra i più giovani, i figli d'arte - o come vengono chiamati oggi - nepobaby possono essere la soluzione. Permettono di creare una continuità tra le diverse generazioni di tifosi e appassionati, come fossero dei sequel di film di grande successo, anche grazie molte volte all'uso di una numerazione ordinale (I, II, III) o di vari diminutivi - Jr. il più gettonato - dopo il cognome. E di avvicinare una nuova generazione alla storia della lega, attraverso giovani in rampa di lancio che possono già contare su una larga piattaforma social (Bronny in questo momento ha più di otto milioni di followers su IG) e su un attitude formata da anni sotto i riflettori paterni.
Bronny infatti non è e non sarà l'unico giocatore NBA con un cognome importante sul retro della loro canotta. Senza tornare troppo indietro nel tempo, Shareef O'Neal è stato rallentato da vari problemi fisici ed è stato tagliato prima dell'inizio della stagione dai Sacramento Kings, ma rimane la suggestione di vedere presto un nuovo O'Neal in NBA (non tu Royce scusa). Così come ci attenderanno nei prossimi anni l'arrivo dei figli di Carlos Boozer - Cameron, uno dei migliori giocatori della sua classe - e Cayden, oltre al loro compagno di squadra Chris Paul Jr., figlio di - indovinate? - CP3. Ma ancora presto potremo vedere in NBA i nomi di Tajh Ariza, Brandon Bass Jr., Dylan Harper, Jase Richardson, Jaxon Richardson, Jacob Wilkins e Elijah Williams, forse il segnale che viviamo davvero nel Matrix o in una partita di NBA Live andata troppo avanti.