Il ruolo dello sport nelle elezioni politiche americane
Ma l'attivismo è servito davvero a qualcosa?
06 Novembre 2024
«Game, set, match», ha twittato Elon Musk alle nostre 4:32, usando le parole che al suo - neanche troppo metaforico - posto avrebbe pronunciato un arbitro di tennis per chiudere un incontro. In anticipo forse di un paio d’ore circa, il tweet di Musk presagiva quanto sarebbe diventato chiaro di lì a poco: Donald Trump, al suo secondo mandato, sarà il cinquantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Il candidato repubblicano ha vinto le elezioni americane con un margine ben oltre le aspettative (quelle dei sondaggisti almeno, anche se le agenzie di scommesse e il mondo della finanza ci avevano avvisato), che alla vigilia suggerivano una volata equilibrata con la democratica Kamala Harris; già dai primissimi riscontri in arrivo dai seggi americani, invece, lo spoglio dei voti è andato nettamente nella direzione del tycoon newyorkese, che tornerà dunque alla Casa Bianca dopo il soggiorno tra il 2017 e il 2021. Attingendo come Musk dall’universo sportivo, Enrico Mentana nella sua consueta maratona notturna su La7 ha detto a un certo punto (il tabellino recitava 230-192) che Trump doveva «solo aspettare la certezza matematica, ma è come una squadra avanti di 10 punti in campionato».
Al di là dei paralleli di Musk e Mentana, le elezioni 2024 hanno confermato un trend sempre più pronunciato, ovvero il coinvolgimento della comunità di atlete e atleti, e in generale l’importanza del mondo sportivo nei momenti della vita politica americana. Nelle ultime settimane la presunta corsa all’ultimo voto ha incentivato l’allungarsi di una lista già nutrite di stelle, leggende e volti noti delle grandi leghe professionistiche (NFL, NBA, MLB, NHL) che si sono esposti, utilizzando la propria visibilità - e in alcuni casi influenza - per sostenere uno dei due candidati. Allo stesso modo, le campagne di Trump ed Harris hanno ampiamente attinto dalla cassa di risonanza dell'intrattenimento sportivo, come certificano gli inviti alle convention e la diffusione di advertising durante eventi televisivi, ad esempio, di football americano; una costante degli ultimi mesi, tanto sui media mainstream (tra gli altri, gli spot sulle attitudini vincenti), quanto in specifici contesti - anche a livello collegiale e su emittenti locali - in cui veicolare messaggi mirati (ad esempio, sul tema dell'identità di genere).
Sport e politica USA
@itvnews Dana White: 'This is what happens when the machine comes after you' #itvnews #usa #trump
original sound - itvnews
La presenza di tre ex giocatori dei Pittsburgh Steelers (NFL) - Le'Veon Bell, Antonio Brown e Mike Wallace - ad un comizio di Trump in Pennsylvania, come anche l’invito di Dana White (presidente dell’Ultimate Fighting Championship) alla convention repubblicana, confermano il fenomeno. E trovano riscontro nella sponda democratica con i collegamenti di Stephen Curry e coach Steve Kerr - simboli dei Golden State Warriors (NBA) - al raduno dem di settembre. I due hanno rinnovato un impegno non nuovo né tantomeno episodico all’interno di un contesto fortemente politicizzato - e in questo senso, così distante dal nostro - come quello dell’NBA.
Non è una novità che le voci più seguite scendano in campo per rivolgersi direttamente all'elettorato o al Congresso, e viceversa non è un mistero che lo sport rappresenti uno degli ecosistemi più fertili da esplorare in campagna elettorale, permettendo l’accesso a un pubblico variegato, giovane, non facilmente intercettabile e particolarmente sensibile agli stimoli forniti dai propri punti di riferimento. Tutto ciò ha ispirato svariate forme di alleanze, endorsement, prese di posizione e attivismo all’interno di un movimento oggi consapevole quanto mai delle proprie potenzialità; una scia su cui sono nate campagne quali More than a Vote, fondata da LeBron James nel 2020 dopo la morte di George Taylor, per incentivare i cittadini a votare e per chiedere giustizia e riforme sociali (oggi l'associazione è guidata da Nneka Ogwumike, che ha ampliato lo sforzo per le pari opportunità e contro le discriminazioni di genere).
Nei mesi che hanno preceduto la tornata elettorale dei giorni scorsi il panorama sportivo americano si è mostrato abbastanza frammentato, tra chi si è astenuto dal prendere posizione, chi si è battuto per incentivare il voto (a prescindere dalla preferenza), e chi si è schierato apertamente da una parte o dall’altra (con una prevedibile inclinazione verso Harris dovuta agli storici connotati socio-culturali di tali leghe, soprattutto nel caso cestistico). Alla fine, risultati alla mano, gli ambasciatori democratici come Mark Cuban (proprietario dei Dallas Mavericks) si sono ritrovati a commentare la sconfitta, mentre i sostenitori di Trump - come l’ex stella del circuito NASCAR Danica Patrick - hanno salutato la vittoria. Diamo un’occhiata ai rispettivi schieramenti.
Team Trump vs Team Harris
@cnn Professional entertainer and wrestler Hulk Hogan endorsed former President Donald Trump in a speech at the Republican National Convention. #hulkhogan #trump #rnc #cnn #news original sound - CNN
Dal red corner, a sostegno quindi di Donald Trump, si sono sentite le voci dei già citati Dana White, che ha sottolineato l’appoggio di una parte significativa del mondo degli sport di contatto, e dell’icona dell’automobilismo femminile Danica Patrick, che recentemente aveva fatto discutere con le sue dichiarazioni riguardo al Diddy party. Tra gli atleti NFL, invece, Nick Bosa (San Francisco 49ers) e Harrison Butker (Kansas City Chiefs) hanno manifestato il proprio endorsement al candidato repubblicano, con il secondo coinvolto soprattutto in chiave antiabortista. Infine, alcune stelle del passato e celebrità: il quarterback Brett Favre, il pugile Mike Tyson, il wrestler Hulk Hogan, lo youtuber-pugile Jake Paul, Jack "The Golden Bear" Nicklaus (golfista) e il closer degli Yankees (baseball MLBL) Mariano Rivera.
Nel blue corner invece sono schierati in prima fila, oltre ai già citati del mondo NBA, i firmatari di Athletes for Harris, una campagna lanciata a settembre da quindici membri della Pro Football Hall of Fame, tra cui Emmitt Smith, Mel Blount e Alan Page. A loro si sono aggiunti Thomas Booker (Eagles), Ali Krieger (ex calciatore), Billie Jean King (leggenda del tennis), e diversi volti noti del basket femminile (Dawn Staley, l’intera squadra delle Seattle Storm e soprattutto Megan Rapinoe, portavoce della lotta per i diritti umani e l’uguaglianza di genere) e maschile (Magic Johnson, Chris Paul e Doc Rivers).
Le celebrities servono davvero?
Un numero crescente di atlete ed atleti oggi ha la possibilità di utilizzare la propria piattaforma non solo per esprimere opinioni, ma anche per intervenire nel dibattito pubblico, grazie al megafono sempre a portata di mano che hanno introdotto i media digitali e soprattutto i social network. L'impatto diretto dell'endorsement di sportivi di alto livello sui processi elettorali non è quantificabile concretamente, ma in certi casi può essere rilevante perlomeno nella definizione dei contorni del dibattito e nel suo processo di edificazione.
In una società che - soprattutto nelle fasce giovani e quindi, presumibilmente, sempre di più in futuro - riserva ai protagonisti del business sportivo un discreto potere di influenza sulla percezione collettiva, l’esposizione di tante figure riflette e legittima il modo in cui da tempo si raccontano: "more than athletes", più che semplici atleti. Allo stesso tempo, ricorda quanta strada ci sia ancora da compiere in un Paese vasto e ricco di contraddizioni, in cui l’affluenza alle urne, la polarizzazione e la disinformazione dell’opinione pubblica continuano ad essere temi delicati. E in cui il coinvolgimento di atlete ed atleti continuerà ad espandersi con le prossime generazioni.