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"Guardare sempre la luna" - Intervista a Carlo Rivetti

Abbiamo incontrato il Presidente del Modena per una birra prima di una partita dei gialloblù

Guardare sempre la luna - Intervista a Carlo Rivetti Abbiamo incontrato il Presidente del Modena per una birra prima di una partita dei gialloblù

Carlo Rivetti passeggia attraverso il Mercato Storico Albinelli scambiando saluti e strette di mano con chiunque si avvicini, nel suo inconfondibile impermeabile del Modena sotto un total look Stone Island. Per tutti è "Il Pres" e nel suo elemento naturale, tra spianate di pasta all'uovo e torri di formaggio, è pronto per bersi la sua consueta birretta prima di andare all'Alberto Braglia per una partita casalinga di Serie B. Rivetti è stato per anni uno dei personaggi più elusivi della moda italiana, custode dei segreti della fabbrica di Ravarino dove Stone Island per decenni ha creato i capi più innovativi e avveniristici del pianeta e che ancora oggi può contare su un seguito di culto. Ora da Presidente del Modena è pronto a raccontare la sua storia, che poi è quella della sua famiglia, del territorio emiliano in cui ha saputo creare un modello vincente unico nel panorama industriale italiano, del sistema moda dal quale ha sempre voluto sfuggire ma da cui è stato costantemente rincorso, di una sensibilità segnata da continue sfide, molte vinte, alcune perse, affrontate sempre spostando lo sguardo un po' più in là.

Com’è essere entrato nel mondo del calcio dopo una vita in un altro settore e averlo visto sempre da spettatore?

È molto bello. E specialmente incoronare una passione che coinvolge tutta la mia famiglia. E quindi è stato in un primo momento estremamente emozionante. E poi quello che mi fa molta impressione è la visibilità che ti dà il calcio, è veramente impareggiabile. 

Ho detto più volte che per fare l'imprenditore in Italia bisogna essere comunque positivi, avere una visione. Come si fa a esserlo del calcio italiano in questo momento storico?

Diciamo al momento assolutamente non è facile. Noi vogliamo portare qualcosa di diverso nel mondo del calcio. Abbiamo un grande numero di giocatori italiani, stiamo lavorando tantissimo sulle giovanili. Settimana scorsa abbiamo tre ragazzi dell'Under 17 convocati in Nazionale. L'anno scorso abbiamo vinto il campionato italiano Primavera tre e siamo saliti in Primavera due. Abbiamo portato due ragazzi della Primavera in prima squadra, quindi stiamo lavorando in quella direzione. L'idea sarebbe di riuscire a fare una squadra con tutti i giocatori italiani. Un sogno. Tutti cresciuti e nati con noi.

Senza dubbio questo territorio ti ha dato talmente tanto che ti ha convinto a investire ulteriormente anche in capitale umano.

Ma io quando sono arrivato qua, 42 anni fa, venivo dal Piemonte. È stato è stato interessante perché ho avuto l'opportunità di conoscere anche una cultura differente e mi sono molto legato al territorio che ho trovato. Io racconto sempre che in azienda da me i ragazzi quando uscivano dall'ufficio spegnevano la luce. E ciò dimostra veramente un attaccamento all'azienda, nel caso specifico, e anche al Modena Football Club. Qui la gente è estremamente generosa.

Quali sono le differenze maggiori rispetto a guidare un club di calcio rispetto ad un brand di moda?

Beh, senza dubbio i tempi, nel senso che qua nel mondo del calcio ogni weekend vieni messo in discussione. Diciamo che nel mondo del design della moda i tempi - pur estremamente ridotti - sono molto più dilatati e di conseguenza hai più tempo per lavorare. Forse anche i risultati dipendono più dalle tue capacità. Qui invece io e noi con la società possiamo mettere la squadra in campo, ma poi i risultati li portano i ragazzi.

E adesso che il calcio è diventato, anche a livello stilistico, qualcosa di molto vicino al mondo della moda, non hai mai avuto voglia di fare qualcosa che li unisse ancora di più?

No. No, perché sono due realtà completamente differenti. È inutile negare che nel passato abbiamo avuto dei problemi, perché Stone Island era diventato il brand simbolo degli hooligans inglesi e quindi abbiamo sempre evitato in una qualche maniera di legare Stone al calcio. Poi evidentemente è un prodotto che piace moltissimo agli sportivi, dei giocatori di basket, ai giocatori di calcio, ai pugili, e quindi l'idea era comunque di mantenere le due realtà assolutamente separate.

Perché pensi piacesse così tanto agli sportivi?

Credo che il prodotto sia molto figo ed è per quello che piace. Fra le altre cose, noi non abbiamo mai fatto capi da donna ed è pieno di donne che si vestono con Stone. Quindi credo che sia un marchio mitico, anche perché non abbiamo mai rincorso i fatturati della moda, ma ci siamo sempre andati dritti per la nostra strada e questo si deve fare secondo me anche nel calcio. Quando prima ti dicevo noi vorremmo seguire una strada diversa è proprio quello che non vorrei fare. Cerchiamo di fare qualcosa di diverso.

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Hai pensato di chiamare Kanye West per giocare qualche partita?

Quando Kanye mi cercò tantissimo, arrivarono i ragazzi del mio ufficio stampa tutti agitat dicendomi ti sta cercando Kanye West e io ho fatto la grande domanda “In che squadra gioca?”. E poi quando mi hanno spiegato che era il marito di Kim Kardashian, sono riuscito a piazzarlo. Quindi diciamo che la mia prima impressione su Kanye West è che fosse un giocatore di calcio. 

Invece la relazione con New Balance visto che voi avete scelto un brand che in qualche modo nel calcio ha avuto una storia un po' particolare.

Noi abbiamo collaborato tanto con New Balance come Stone e ci siamo trovati bene. Quindi a un certo punto mio figlio Silvio mi ha detto “devi parlare con il President”. Io volevo sconsigliargli di investire sulla Modena. Poi gli ho raccontato il mio progetto gli è piaciuto talmente tanto che ha deciso invece di investirci. E adesso sono tre stagioni che lavoriamo insieme, e i rapporti quelli umani, che sono poi quelli importanti per poi il prodotto loro è bello, le maglie quest'anno hanno avuto un successo clamoroso, sono veramente molto belle, però sono i rapporti umani che sono importanti. Andiamo molto d'accordo.

Invece il rebranding come lo avete deciso? Perché è molto diverso dai lavori più minimali che vanno oggi.

Per fortuna ho un nipote che è un genio della comunicazione, e il vecchio logo del Modena era veramente superato anche da un punto di vista grafico. E anche i tifosi hanno capito il senso di questo rinnovamento. Ovviamente all’inizio c’è sempre qualche bocca storta, perché quando cambi qualcosa, la gente non è mai contenta. Invece poi dopo si sono resi conto della freschezza del design, del fatto che è assolutamente contemporaneo. 

Tutta la parte grafica invece arriva da questo giornale sportivo edito a Modena negli anni cinquanta che abbiamo ritrovato e che aveva un font assolutamente particolare e l'abbiamo adottato. E dopo le prime iniziali difficoltà devo dire che invece il tifo lo sta apprezzando molto.

Visto quanto è importante quanto è stata importante la famiglia in tutto questo percorso, anche nel modo che stai dicendo, cioè che ognuna figura familiare riveste un ruolo.

Quindi così risparmiamo veramente.

Questo è il segreto.

Io dico sempre ed è la verità, che se non avessi avuto la mia famiglia, probabilmente oggi sarei in Messico in un Chiringuito. Perché in fondo tu lavori perché hai una famiglia per portare avanti quello che hai costruito. Come ti dicevo prima il Modena ha riunito tutta la famiglia perché c’è chi tifa Milan, chi tifa Inter, Juventus, Roma e l'unica squadra che ci univa era la nazionale italiana, oggi invece c’è il Modena che ci riunisce.

Quindi sono tutti entusiasti di lavorare nel Modena. E poi ti dirò che lavorare nello sport, nel calcio, nel dietro le quinte, nel costruire la squadra è veramente affascinante.

E ora che le maglie da calcio sono diventate qualcosa che va oltre il campo, sono uno strumento di sperimentazione e creatività di design e materiali, non ti è mai venuto in mente di lavorare ad un nuovo modello a Ravarino?

Allora tira il controllo della storia che non sa nessuno. Io sono stato precedentemente presidente nella squadra di hockey sul ghiaccio che ho portato alla Serie C in Europa. E cosa ha fatto? La prima cosa che ho fatto mi sono detto “Caspita, Le maglie le disegno io” e le abbiamo fatte a Ravarino. Giochiamo la partita e i giocatori mi dicono queste maglie fanno schifo. Erano veramente, totalmente, inadeguate. Avendo imparato la lezione, questa tentazione non mi è mai venuta. A Milano si dice “Ofelè fa el so mestée”, ognuno deve fare il mestiere che è capace a fare e non inventarsi una professione ed io sono molto rispettoso.

@nsssports Qualche settimana fa abbiamo incontrato Carlo Rivetti e lo abbiamo accompagnato nella sua immancabile birretta pre-partita, prima del match contro il Palermo. Non vedevamo l’ora di ascoltare dal vivo il racconto della sua esperienza con Kanye West. #carlorivetti #rivetti #kanyewest #kanye #kimkardashian #stoneisland #fashiontiktok #tiktokfashion suono originale - nss sports

In un'intervista dicevi che Cantona è stato il primo calciatore a mettere il logo Stone in televisione.

Sai quanto mi è costato? Zero. Perché lui giocava a Manchester e il più importante cliente al mondo di Stone Island è a Manchester e si chiama Flannels. E lui cosa ha fatto?Andava li', se lo comprava ed è andato tre volte in televisione con logo Stone Island. Au revoir. Siamo diventati numero uno, ma è tutto naturale e spontaneo. 

Rispetto a Cantona, ora vedi qualcuno che ha quella forza comunicativa o con il quale ti piacerebbe lavorare con lui per creare una campagna, un prodotto?

No, non è mai successo. Però quando qualcuno lo mette davanti alla telecamera, benissimo. Ad esempio, intervista pallone d'oro venti minuti in televisione Pep Guardiola, appoggiato col badge in vista sai quanto mi è costato? Zero! Ma perché? Perché non non li usiamo i testimonial? Non ce n'è bisogno. Noi abbiamo naturalmente dei testimoni e allora è molto più serio. A un certo punto mi hanno anche detto di chiamare Guardiola, ma non ci penso proprio.

In più ti dirò che per esempio Drake ho voluto conoscerlo prima di realizzare i costumi per il Tour, mia Mia figlia Camilla è andata quando gli abbiamo preso le misure e i vestiti glieli ho portati io e gli ho detto “Questi sono stati fatti solo per te. Noi non lo diremo mai”, ma perché non ce n'era bisogno. Intanto si vedeva e li raccontava lui e non produrremo mai più. Ma proprio perché non era un'operazione commerciale. E devo dire che quando sono entrato nel suo camerino lui si è emozionato, Io anche, e poi mi ha offerto il suo whisky e anche quella è stata una bella esperienza.

Che ti porta a fare queste esperienze?

Mi piace quello che fa, il tipo di musica che porta avanti. Il fatto che a dodici anni sua madre gli regalò una maglia di Stone e quello gli è rimasto sempre dentro, il che vuol dire che ama veramente questo prodotto. Non è una questione di una moda passeggera, è radicata nel suo essere.

E cosa credi che rende davvero speciale quel prodotto poi a distanza di trent'anni, rimane nel cuore di una ragazzo che, appunto, magari spendeva non una paghetta, ma dieci paghette per acquistarlo.

All' inizio degli anni ottanta, i ragazzi giovani che amavano Stone spesso lo pagavano legate. E credo che l'integrità del prodotto sia premiante. In più quando usi un giaccone tu hai la geografia del tuo corpo. Sai che il cellulare ce l'hai qua, il portafoglio ce l'hai là.

Quando cambi giaccone, devi ristudiare la geografia del tuo corpo. E hai presente la coperta di Linus? La vita media di un giaccone di Stone è vent’anni, come una Volvo, e quindi ti affezioni. In più, e questo io lo dico sempre, mi dicono bellissimo ma il caro e io gli rispondo “quando l'hai comprato?”, “dieci anni fa”, “quindi lo hai ammortizzato”, quindi alla fine non è così caro rispetto ad altri prodotti che magari usi due stagioni e poi non piu'.

In più, non essendo un prodotto che guarda alla moda ma guarda la funzionalità e al design, non passa di moda perché non era di moda quando le ho preso. Era figo che un altro concetto, cool si dice adesso.

Se la moda ha inventato i trend per spingere a comprare sempre di più, voi avete fatto il contrario. Come si fa a continuare a vendere?

Io non volevo aprire il nostro corner alla Rinascente, poi mi hanno convinto e mi ha detto “Sì, ma lo mettiamo dietro”. No se lo facciamo, lo mettiamo dove arrivano le scale mobili e lì mi sono reso conto che dovevo soltanto renderlo più visibile, parlare di più alla gente senza cambiare lingua. Ero convinto e sono convinto che se hai dei concetti forti da raccontare troverai sempre qualcuno in giro per il mondo, il mondo è grande, che è disposto ad ascoltarti.

Come si fa a rimanere coerenti quando hai questo tipo di successo, quando tutti volevano lavorare con voi? Quanto è difficile dire sempre no?

Facilissimo, facilissimo. Però hai ragione tu. Secondo me è una delle cose più difficili di questi quarant'anni, o comunque negli ultimi quindici anni non è stato il dire no, ma riuscire a mantenere la barra dritta. Non ti nascondo che una decina di anni fa mi hanno detto bisogna togliere il budget, non è più la gente non vuole più quelle robe lì, oppure andavano di moda i maglioni con le losanghe dobbiamo fare i maglioni con le losanghe. E io ho sempre detto che ci sono già i maglioni con losanghe, quindi il mercato non ne ha bisogno, facciamo qualcosa di diverso.

Quando io sento qualcuno che dice che piglia ispirazione dalla strada è già in ritardo, l'ispirazione non può venire dalla strada l'ispirazione per me viene sempre dallo studio dei materiali, dal trattamento dei tessuti, da quelle cose che, fra le altre cose sono il nostro vero vantaggio competitivo. È vero che molti sono arrivati verso di noi, però devo guardare indietro per vederli.

Stone Island è un brand che ha saputo guardare sempre all’interno, verso se stesso, per cambiare l’esterno.

Il saggio Guarda la luna lo stolto guarda il dito, e la nostra luna è il futuro. Guarda quello che mi entusiasma di più è il fatto che in tanti anni non sai quanti tentativi, ricerche, eccetera sono falliti, e oggi con le nuove tecnologie, io ho tutta una serie di enormi fallimenti alle spalle che posso riprendere e provare a portare avanti. Quindi sì, hai ragione.È una quasi una cosa che si auto perpetua e che trae le sue origini dal suo passato ma guardando al futuro.

Sai che Oscar Wilde diceva che esperienza è il nome e noi diamo ai nostri errori. C' è qualcosa che hai fatto trenta quarant'anni fa che potresti fare ora e qualcosa che hai fatto trent'anni fa e che non sarebbe più possibile fare?

Vedi io venivo da un'azienda assolutamente tradizionale, che faceva abbigliamento formale. E poi ho avuto una visione guardando come i miei figli andavano vestiti a scuola e  ho capito con un certo anticipo che il mondo sarebbe cambiato, che le nuove generazioni si sarebbero vestite in un modo diverso. 

E quella è stata la decisione che mi ha cambiato la vita, uscire dall' abbigliamento formale e provare a fare qualcosa che all'epoca non aveva quasi un nome se vuoi. E tutto il mondo poi è arrivato lì.

Quindi ormai l’ultimo traguardo è portare il Modena in Champions League. 

Sì, abbiamo molto da lavorare. Però è vero tutto sommato quando tu diventi presidente della squadra di calcio l'obiettivo è andare in Champions League? Si. Vincere la Champions League, quello è l'obiettivo. Però adesso, a parte le battute, non mi sono mai posto obiettivi di basso livello nella vita - la luna - quindi bisogna secondo me sempre avere degli obiettivi sfidanti e ovviamente cercare di raggiungerli.