Davvero vogliamo esportare la Serie A all'estero?
I limiti e le contraddizioni delle parole del nuovo Amministratore Delegato De Siervo
14 Gennaio 2025
Il futuro dell'esportazione all'estero del calcio italiano, secondo Luigi De Siervo, è imitare NBA e NFL. Lo ha detto l’amministratore delegato della Lega Serie A (appena rieletto dall’assemblea) nel corso di un recente intervento davanti alla stampa, in cui ha tirato le somme sulle missioni fuori porta della Supercoppa. L’espatrio di questo trofeo ormai non fa più notizia: nel 2025 si è assistito infatti alla settima tornata nel Golfo Persico, la quinta in Arabia Saudita (il debutto a Jeddah nel 2018, prima del trasloco nella capitale Riyadh) dopo le due edizioni a Doha, in Qatar (2014, 2016). In precedenza si erano disputate finali anche più lontano - quattro in Cina (2009, 2011, 2012, 2015) e un paio negli Stati Uniti (1993, 2003) - cui si aggiunge quella del 2002 a Tripoli, in Libia.
Parlando del futuro della Supercoppa, il CEO della Serie A ha lasciato intendere che le Final Four saudite degli ultimi anni, oltre ad essere qui per restare (sia come format, sia come location), potrebbero essere affiancate presto da altri eventi simili nella regione. Di che partite potrebbe trattarsi, però? Con una pessima scelta di parole lo stesso De Siervo ha spiegato che «per rispetto dei tifosi, non sarà la miglior partita». Presumibilmente, quindi, la scelta potrebbe ricadere su una sfida di campionato tra squadre di media-bassa classifica. La timeline suggerita per «vedere un match italiano all’estero» è abbastanza ampia: «nei prossimi tre anni». Al contrario, è bastato il tempo di far atterrare le parole di De Siervo sul web, perché si accendessero le polemiche sui social.
Le contraddizioni che emergono dal suo discorso sono fin troppo evidenti. Prima di tutto, promuovere un qualsiasi prodotto dicendo quello che di sicuro non sarà una partita tra grandi club ci mette un'altra volta di fronte alla goffaggine con cui la Lega tratta pubblicamente il tema, controverso, delle partite a queste latitudini. Ad esempio, non vedrete mai le leghe americane menzionate come modelli, NBA e NFL, svendere così un proprio evento. E poi, c'è il rispetto per i tifosi: un’espressione a dir poco infelice, che di certo non ha aiutato la popolarità del progetto.
Al di là dell’autogol comunicativo, comunque, ci sono svariati motivi per storcere il naso di fronte a tutto ciò. Non si tratta di proteggere - a prescindere - ogni singolo minuto di calcio negli stadi italiani sull’altare dei ricavi e del marketing. Il pubblico ha infatti ormai digerito la necessaria ottimizzazione commerciale del prodotto, come ci ricordano i weekend spezzatino di Serie A. Il punto riguarda le fondamenta del progetto, da un punto di vista sportivo e di business model; e quindi, la comprensione dei contesti e dei mercati di riferimento, la scelta dei modelli da imitare e non ultimo la capacità di coinvolgere il pubblico.
Dove e come
«NBA e NFL giocano anche in Europa e in tutto il mondo da sempre, lo fanno con successo e questa cosa paga», spiega Luigi De Siervo. «Non si capisce perché diventa uno scandalo se lo fa la Serie A». Prima di tutto, per rispondere è opportuno sgombrare eventuali dubbi sulla sede geografica. Andando per esclusione di qualsiasi altro contesto (per motivi sportivi ed economici), è inevitabile finire sui soliti Paesi del Golfo Persico: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar. «Dov’è che il mondo si è aperto?», conferma De Siervo, «nel Middle East. Noi non facciamo politica, cerchiamo di contaminare nuovi tifosi. Ci sono 400 milioni di persone malate di calcio lì, e sono giovani». Conosciamo ormai fin troppo bene le implicazioni politiche e sociali di tutto ciò.
In Arabia Saudita, in ogni caso, si gioca già la Supercoppa. Che è stata allargata a quattro squadre e tre partite, è stata piazzata nel pieno del campionato (e delle festività natalizie), ed è stata apprezzata a corrente alternata dal pubblico di Riyadh. Se gli scontri diretti tra i tre club più popolari nella regione - Milan, Inter e Juventus - hanno generato interesse, non si può dire altrettanto delle sfide che hanno coinvolto Atalanta, Napoli, Lazio e Fiorentina. Questo ci porta alle particolarità del mercato locale, evidentemente diverso da quello europeo: che piaccia o meno, è un fattore da tenere in considerazione. A maggior ragione considerando l’assunto posto alla base di una giornata di Serie A all’estero, ovvero che non si tratti di un big match. Se la semifinale Napoli-Fiorentina di dodici mesi fa è stata snobbata (meno di 10mila spettatori), a chi potrebbe interessare - e dunque convenire - un qualsiasi turno di campionato senza big e con i soli tre punti in palio?
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Di sicuro, non ai tifosi italiani. È abbastanza chiaro che l’operazione Supercoppa sia molto più redditizia per le casse della Lega e dei club che per l’immagine del calcio italiano. Ed è altrettanto chiaro che - non soltanto per motivi di costi - sia possibile esportare un prodotto, ma non il contesto. Pur in presenza di squadre e rivalità di grande richiamo. «abbiamo cercato di portare mille tifosi italiani in Arabia Saudita per ogni gara», racconta De Siervo, «si è fatto tanto, costruendo dei pacchetti commerciali con Visit Saudi e costi contenuti. C’erano due offerte: una possiamo definirla da curva e l’altra da tribuna. Avevano dei prezzi abbordabili, considerando lo sforzo complessivo - ma non hanno incontrato tutta l’attenzione che ci auguravamo. Avevamo pensato anche di portare qui un aereo per club di tifosi organizzati: volevamo che ci potessero essere dei cori, come in Italia.
Ha poi proseguito: «È stato complicato anche per quello che sta succedendo con le tifoserie di Inter e Milan, e a quel punto non era il caso di far venire i tifosi delle altre due squadre. I pacchetti erano interessanti, soprattutto la Juventus ha spinto l’iniziativa, ma non c’è stata la risposta che avremmo voluto. Il tifo organizzato è uno dei punti su cui mi impegno per l’anno prossimo. Sono costi rilevanti, tra charter e pernottamento, è un tema costoso. Ma è un miglioramento che dobbiamo studiare».
Modelli e competitor
Il riferimento all’NBA e all’NFL capita a pochi giorni, tra l’altro, dall’annuale trasferta del basket americano in Europa. Un parallelo tra l’evento in arrivo a Parigi (che aspetta con smania lo sbarco di Wembanyama) e la Supercoppa Italiana, e prima ancora un confronto tra i due contesti sportivi, sono un’occasione per riflettere sulle parole di De Siervo. E quindi, sull’impossibilità del calcio italiano di emulare un modello profondamente e strutturalmente diverso.
NBA e NFL rappresentano il vertice assoluto dei rispettivi sport, con una concentrazione di talento che non ha eguali a livello mondiale. Le leghe americane alimentano ed esercitano, per loro stessa natura e per come hanno lavorato per decenni, un’esclusività e un’atmosfera semplicemente non replicabili. Banalizzando al massimo il discorso, in termini relativi la peggior partita che l’NBA può esportare esercita un fascino superiore - se non altro per il talento messo in mostra - rispetto a gare di media o bassa classifica del calcio italiano, e non soltanto. Anche per la Premier League, ormai egemone nel panorama europeo, un parallelo in tal senso non è sostenibile.
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Il punto di riferimento della Serie A dovrebbe trovarsi all’interno di contesti sportivi e sociali comparabili, e possibilmente vicini. Vale a dire, oltre alle competizioni UEFA e alla Premier League, gli omologhi degli altri storici big market: LaLiga, Bundesliga, Ligue 1. Ed è un’arena in cui il calcio italiano ha perso da tempo la posizione privilegiata che occupava, ad esempio, negli anni Novanta. La squadra che incassa meno tramite la televisione in Inghilterra, per intenderci, ha ricavi dai diritti televisivi ben superiori ai top club di Serie A; i quali inevitabilmente hanno visto ridurre il potere d’acquisto negli ultimi decenni, di pari passo con l’affluenza negli stadi, che ha numeri ben inferiori rispetto agli omologhi inglesi e tedeschi.
La proposta calcistica globale, peraltro, si è espansa più che mai negli ultimi anni (Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia), disperdendo una parte dell’esclusività europea e rendendo più serrata la competizione per fidelizzare il pubblico nei mercati emergenti. Siamo proprio sicuri che imitare NBA e NFL, esportare sfide di Serie A ma non la partita migliore, sia la direzione giusta?