NBA e Parigi sono binomio straordinario
La capitale francese è diventata il quartier generale europeo del basket americano
31 Gennaio 2025
Ormai non è più una notizia: per il terzo anno consecutivo l’NBA ha sfilato - un termine non improprio, vista la coincidenza (tutt’altro che casuale) con la Fashion Week - all’Accor Arena di Parigi. Se fino alla pandemia, o meglio alla Brexit, l'avamposto europeo era Londra con il quartier generale della O2 Arena, ora il testimone è passato saldamente alla capitale francese e al palazzetto di Bercy. Le due partite di settimana scorsa tra San Antonio Spurs e Indiana Pacers sono state la quattordicesima e quindicesima di sempre per la lega americana sul suolo francese, e le numero 96 e 97 nel vecchio continente, a una quarantina d’anni dalla prima traversata oceanica. Stavolta, però, Adam Silver e soci hanno alzato ulteriormente l’asticella, confezionando il tutto ancora più in grande rispetto alle passate edizioni.
Innanzitutto con due partite al posto di una (prima volta di sempre), con una cinque giorni densa di appuntamenti dentro e fuori dal campo, con cui si è trasformata la NBA Paris Game nella NBA Paris week. Con un ospite d’eccezione, anzi con un padrone di casa che ha reso eccezionale l’occasione: l’idolo locale Victor Wembanyama, ovviamente. L’intera settimana ha ruotato, neanche troppo velatamente, intorno alla stella francese degli Spurs, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Parigino di nascita, scelta numero uno del Draft 2023 - e senza girarci intorno, la miglior cosa che sia mai capitata al basket transalpino - Wemby ha confermato un’altra volta l’attrazione magnetica che esercita sui connazionali.
La nouvelle pub DINGUE de Nike pour les premiers NBA Paris Games de Victor Wembanyama !
— 50 Nuances (@50NuancesDeNBA) January 21, 2025
Ohhhh la hype est l
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A dire il vero, il numero 1 di San Antonio è una calamita irresistibile per l’intero pubblico NBA. Indiscriminatamente, o quasi: dai nerd del gioco ai più occasionali, dai tifosi agli addetti ai lavori, dagli States all’Europa - ma in Francia, per ovvi motivi, è tutta un’altra storia. Un po’ come per Luka Doncic e la Slovenia, ad esempio, o a suo tempo per Dirk Nowitzki e la Germania. Lo ha ricordato lo stesso Adam Silver nella conferenza stampa d’apertura di giovedì scorso: «Wembanyama ha raggiunto una popolarità incredibile, attualmente è al terzo posto per interesse generato sui social media NBA e la sua maglia da gioco è la quinta più venduta in assoluto». Dati che fanno rumore per uno della sua età (21, appena compiuti), ma che sono soltanto la punta di un gigantesco iceberg.
Il fattore Wemby
Due anni fa, con lungimiranza e anche un po’ di coraggio, la lega avviava un’inedita partnership con broadcaster, federbasket e club locali per trasmettere le partite di Wembanyama e dei suoi Metropolitans 92 su NBA League Pass. Un modo mai sperimentato prima di presentare al pubblico americano, e di tutto il mondo in realtà, il talento generazionale in arrivo di lì a pochi mesi. Ora, la dinamica si è quasi ribaltata: è il giocatore a portare l’NBA sugli schermi dei francesi, promuovere il gioco, avvicinare nuovi segmenti di pubblico; ad attraversare l’Oceano e inaugurare due campetti a Le Chesnay, dove è nato e cresciuto; e pure ad introdurre Chris Paul e compagni alle sfilate di moda parigine. A fare da ponte tra due culture sportive, confermandosi anche dal punto di vista commerciale, oltre che sul parquet, un game changer.
È anche, se non soprattutto grazie a lui, che gli abbonamenti a NBA League Pass sono aumentati del 36% negli ultimi dodici mesi, e gli utenti sull’app ufficiale della lega del 38%. La sua sola presenza al Parco dei Principi per PSG-Manchester City di mercoledì scorso, e un paio di numeri in favore di telecamera - ebbene sì, pure con un pallone da calcio - hanno permesso all’NBA di accrescere la propria popolarità anche tra il pubblico calcistico. Bingo, soprattutto se l’intento - dichiarato dal diretto interessato - era fare tutto il possibile per dimostrare che gli Spurs dovrebbero giocare una partita a Parigi ogni anno.
La risposta del pubblico, comunque, non è mai mancata in occasione delle Global Games, a Parigi come altrove. E quelle di settimana scorsa non hanno certo fatto eccezione: i biglietti per le due partite, oltre trentamila in totale, sono stati polverizzati nel giro di poche ore, una volta aperta la vendita; e sugli spalti dell'Accor Arena si sono riversati tifosi e appassionati da 53 Paesi diversi, un record per qualsiasi appuntamento NBA.
Certo, la presenza dei San Antonio Spurs, ribattezzati per l’occasione Les Spurs, era una solida garanzia. Quella texana infatti è una franchigia dal DNA storicamente internazionale, molto apprezzata su questa sponda dell’Oceano, e che recentemente ha sfruttato due arieti come Boris Diaw e soprattutto Tony Parker per sfondare in terra francese. E questo prima ancora di cavalcare il nuovo enfant prodige, figurarsi dopo il suo avvento. D’altro canto, Wemby o non Wemby, Parigi e il mercato francese rappresentano una certezza granitica per l’NBA, ormai da tempo. Rafforzata di recente dai Giochi Olimpici, in cui Bleus e Team USA si sono sfidati per la medaglia d’oro.
Parigi val bene (una lunga trasferta)
Per quanto si possa avere l’impressione che sia semplice, oggi, organizzare un evento del genere, va tenuto a mente lo sforzo economico e logistico su cui poggiano i viaggi transoceanici dell’NBA. Non si può sottovalutare l’investimento della lega per esportare il proprio prodotto, con tutte le persone e le infrastrutture coinvolte, a cinquemila chilometri da casa; a maggior ragione con l’aggiunta di una partita, e con il ricco contorno allestito contestualmente in città (la scintillante NBA House a Le Carreau du Temple, l’NBA Jam nella serata di mezzo all’Accor Arena, gli eventi del progetto Jr. NBA, i clinic per giovani giocatori e allenatori). E non va trascurato neppure il difficile incastro di tutto ciò nel calendario della regular season, una maratona di 82 partite compressa in sei mesi, in cui trovare spazio è un’impresa.
Va da sé che il ritorno atteso dall’NBA debba necessariamente essere significativo. Tanto nell’immediato, su cui i numeri esposti in precedenza dovrebbero fugare ogni dubbio, quanto sul medio-lungo periodo, seguendo l'obiettivo di sempre: espandere globalmente il seguito di una lega che si vede, si propone ed è il primo campionato di basket al mondo; e che da tempo lavora per emanciparsi da un contesto locale inaridito, quasi saturato, da competitor come NFL, MLB ed NHL. Le Paris Games rappresentano così un fondamentale punto di contatto con il mercato francese, che a sua volta costituisce uno sbocco di importanza nevralgica nel giro d’affari dell’NBA.
La Francia rappresenta infatti il primo mercato europeo per vendite di merchandising a marchio NBA. E negli ultimi cinque anni, anche prima di Wembanyama quindi, l’audience televisiva del basket americano è cresciuta del 67% rispetto ai livelli registrati tra il 2015 e il 2019. Un traino decisivo, chiaramente, è rappresentato dagli atleti nazionali: attualmente ne militano ben quattordici nella lega, e se allarghiamo la prospettiva alle ultime diciotto stagioni, scopriamo che ci sono stati più giocatori NBA provenienti dalla Francia che da qualsiasi altro Paese al di fuori del Nord America.
L’Italia e le Global Games
Alla luce di tutto ciò, potreste domandarvi se lo spettacolo sia destinato a sbarcare anche in Italia nei prossimi anni, e cosa ci manchi in quest'ottica rispetto a contesti come quello francese. Se non per invidia, per curiosità. Ebbene, gli unici Paesi in cui si sono giocate delle partite di regular season, oltre ai due già citati sulle sponde della Manica, sono fino ad oggi Messico (appuntamento fisso da una decina d’anni) e Giappone (l’ultima volta nel 2003). Includendo anche le gare di pre-season (non quelle di esibizione), si aggiungono diversi altri Stati, tra cui l’Italia, che ha ospitato a Milano la prima in assoluto, nel 1984, e un bis nel 2007, a Roma. Da allora, niente.
Il primo nodo da sciogliere, provando a predire i futuri sviluppi del discorso, riguarda il numero di trasferte annuali su cui vorrà e potrà assestarsi l’NBA. Compatibilmente con il progresso tecnologico - neanche a dirlo, abbattere la durata del viaggio farebbe la differenza - e con una serie di fattori legati al contesto: eventuali modifiche al calendario e alla struttura della stagione (si troverà mai il compromesso per una regular season accorciata?), ma anche possibili nuovi format e competizioni sull’asse USA-Europa (sempre sullo sfondo del discorso, soprattutto negli ultimi mesi).
Escludendo un aumento imminente di trasferte europee, ad oggi sembra abbastanza improbabile l’ipotesi di una NBA Milan Game (nel caso, il capoluogo lombardo sarebbe una scelta scontata, per ragioni logistiche e commerciali). L’ecosistema italiano rappresenta infatti una risorsa interessante per l’NBA, ma non al livello dei nostri vicini d’Oltralpe. Lo dicono i numeri prima di tutto: con 9.5 milioni di appassionati e 7 milioni di follower sugli account ufficiali della lega sui social, l'Italia è il terzo Paese europeo per dimensioni e coinvolgimento della fanbase, con numeri inferiori a quelli di Francia e Turchia. A tutto ciò si aggiunge l’assenza di un punto di riferimento - e per l’NBA, di un asset - come Wembanyama, nonché di un impianto moderno con la capienza e gli standard dell’Accor Arena.
Insomma, scavalcare Parigi, che è ormai la capitale europea ereditaria del basket a stelle e strisce, è abbastanza irrealistico. Per chi aspetta con ansia l’occasione, le opzioni sono due: attendere con pazienza, oppure sperare che l’NBA inauguri nuovi progetti globali, da cui anche noi potremmo trarre beneficio. Altrimenti, più semplicemente, conviene mettersi alla caccia di un biglietto per le NBA Paris Games 2026, di cui si attende solo la conferma ufficiale.