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La partita che cambiò le scarpe da calcio
Il merito è di Valsport, che introdusse nuovi colori per la finale di Champions League 1995
20 Febbraio 2025
Ernst Happel Stadion di Vienna, 24 maggio 1995. L’Ajax vince la quarta Champions League della sua storia battendo 1-0 in finale il Milan. Decisivo il gol nei minuti finali siglato da Patrick Kluivert. Quella partita segna un punto di svolta nella storia dell’estetica legata al calcio. Un punto di non ritorno, un momento ben preciso che separa il prima dal dopo. E non solo perché per la prima volta nella storia della Champions League sulle maglie delle due squadre in campo oltre ai numeri comparivano anche i cognomi dei calciatori. No, quella partita cambia la storia dell’estetica calcistica per un paio di scarpe. A indossarle è Marco Simone. Le scarpe in questione sono il modello Fuoriclasse prodotto da Valsport, azienda italiana fondata nel 1920 a Padova, e nel passato punto di riferimento nella fornitura di abbigliamento sportivo, dal calcio al ciclismo passando per la Formula 1, e oggi impegnata principalmente nello sportswear tramite la produzione e la vendita di sneakers. Fuoriclasse era una scarpa realizzata inizialmente secondo i canoni estetici dell’epoca per cui in pelle nera con dettagli bianchi e una linguetta riportante il logo che poteva essere piegata in avanti offrendo la possibilità di coprire i lacci, rigorosamente lunghi così da poter fare uno oppure due passaggi sotto la suola prima di fare il nodo. La rivoluzione si compie quando Valsport decide di ribaltare il progetto estetico e la scarpa da nera con dettagli bianchi diventa bianca con dettagli in nero. Il debutto assoluto si compie sul palcoscenico più importante, la finale di Champions League.
È un’immagine potente. Il Milan poi quella sera gioca con una divisa completamente bianca e le scarpe indossate da Marco Simone quasi spariscono, si mimetizzano con il kit. L’effetto finale è quello di un giocatore che indossa uno smoking bianco e quelle scarpe restituiscono un senso di eleganza. Sino a quel momento c’erano state pochissime deroghe al binomio scarpa nera con dettagli in bianco. Lotto aveva gettato i primi semi di questa rivoluzione con le Stadio, un classico paio di scarpe nere diventate iconiche grazie al verde utilizzato per i dettagli. Nel 1994 Diadora cercò di spezzare questo monopolio cromatico in occasione dei Mondiali realizzando un paio di scarpe blu, indossate da Giuseppe Signori e Roberto Baggio, e un modello rosso, indossato dal belga Enzo Scifo. Esperimenti passati quasi inosservati, tanto più che nella foto più celebre di Baggio a quei Mondiali, ovvero quella con la testa chinata dopo aver fallito il rigore decisivo che diede la vittoria al Brasile, il Divin Codino indossava sì della Diadora ma quelle classiche dell’epoca ovvero nere con il logo giallo fosforescente.
Alla fine fu Valsport a infliggere il colpo che generò la prima crepa sul muro. La rivoluzione cromatica delle scarpe da calcio cominciò quella sera a Vienna e nulla avrebbe potuto arrestarla. Di lì a poco infatti avremmo rivisto le Diadora rosse questa volta indossate da George Weah (divenuto nel frattempo compagno di squadra di Simone al Milan), le R9 grigio e azzurre di Nike per Ronaldo, le Lotto PU grigiorosse di Shevchenko sino alle iconiche Predator bianche prodotte da adidas. Grazie alle Fenomeno bianche di Valsport, i brand sportivi capirono che si poteva osare con i colori nella produzione di scarpe da calcio. La tradizione era stata spezzata. Era arrivato il momento di innovare e creare una nuova tendenza. Non solo, quella scarpa di Valsport creò una nuova fetta di mercato: quanti ragazzi avrebbero voluto emulare Marco Simone indossando un paio di scarpe bianche, e quanto sarebbero stati disposti a pagare? Oggi non ci facciamo più nemmeno caso. Ci sembra naturale, quasi ovvio, vedere giocatori in campo indossare scarpe gialle, rosa, viola oppure semplicemente in tinta con i calzettoni. Questa tendenza però ha un’origine chiara ed è merito di Valsport.