
Anche il cappotto di Arsène Wenger è diventato alta moda
Deriso, memato e infine imitato in tutte le sfilate di Fashion Week
19 Marzo 2025
Non c’è modo di ricordare Arsène Wenger senza pensare al suo iconico, lungo e imbottito cappotto che quasi sfiorava il manto erboso dell’Emirates Stadium e di Highbury prima, su cui si posava la fine pioggia inglese. Da sotto il cappotto, sporgeva timidamente la scarpa da completo, mentre la zip mezza aperta lasciava intravedere la solita camicia bianca abbinata al golfino con scollo a V e cravatta rossa, il rosso dei Gunners. Per Wenger, forse, quel capo era anche un modo per fondersi con i calciatori che allenava, i quali indossavano lo stesso Nike Storm Fit per tenersi al caldo una volta sostituiti e pronti a sedersi in panchina.
@premierleague The most iconic duo in #PL history: Arsene Wenger and his coat
Le Professeur non dava l'impressione di essere uno a cui importava avere stile sul campo, eppure, inconsapevolmente, ha lanciato un trend che, pur con un pizzico di ironia e audacia in questa affermazione, si può dire essere arrivato sulle passerelle delle fashion week, in particolare quella FW25 che si è svolta a Parigi nella prima settimana di marzo. Balenciaga, Yohji Yamamoto, KidSuper, Issey Miyake e molti altri hanno presentato almeno un cappotto lungo simile a quello che indossava Wenger più di venti anni fa. Ed è divertente pensare che mentre Wenger dava indicazioni tecnico tattiche a Theo Walcott, Andrey Arshavin, Robin Van Persie e Cesc Fabregas, non sapeva di stare per lanciare una tendenza. È forse il primo (e unico) allenatore che si può dire abbia lanciato lo stile oversized: tutto ciò, senza rinunciare al suo completo formale, che si nascondeva sotto a un semplice e al contempo unico item firmato Nike.
La motivazione per cui un item così semplice e al contempo d'impatto è divenuto tanto famoso non è però dovuta solamente alla sua iconicità; si guarda con nostalgia al cappotto di Arsène Wenger anche perché, al giorno d'oggi, tolte alcune rare eccezioni come Pep Guardiola in Stone Island e Rick Owens e Scott Parker in Thom Browne, c'è stato un appiattimento completo nello stile degli allenatori. Noi avevamo parlato di Pioli-core in questo articolo, focalizzandoci principalmente sui nomi di Roberto De Zerbi, Eusebio Di Francesco, Alessio Dionisi, allenatori italiani che prediligono uno stile preconfezionato: blazer, t-shirt e sneaker bianche. Il cappotto di Wenger possiede un doppio significato: uno denotativo, legato all'utilizzo comune dell'abito, e uno connotativo, definito dalla sua leggenda metropolitana. Infatti è proprio quest'ultimo aspetto, tra il mito e il meme, a renderlo ancora protagonista dell'immaginario collettivo a oltre vent'anni dalle sue apparizioni sul campo. Uno dei simboli delle leghe grassroot nato per smorzare o quasi occultare la formalità di un completo con un oggetto che è l'esatto contrario. Un gesto rivoluzionario, tanto bistrattato quando intramontabile patrimonio del calcio e della moda.
L'impatto della internet culture sul cappotto di Wenger
Senza la potenza comunicativa e trasformativa di internet e dei social network, oggi staremmo parlando di un capo come un altro; difficilmente si sarebbe arrivati a considerare Arsène Wenger come una fashion icon, un ruolo che in quell'epoca era riservato solo alla sigaretta alla Ancelotti o al sigaro alla Lippi. Dalla stagione 2004/05, subito dopo quella degli Invincibili, entra in vigore il divieto di fumo sulle panchine, così l'attenzione si sposta ai vestiti degli allenatori. Arsène Wenger aveva già detto addio al fumo, guardando indietro a quel periodo da fumatore con non troppa gioia, come ha dichiarato al The Guardian: «Da giovane lavoravo in un pub in cui non si vedeva dalla porta alla finestra a causa del fumo e ho trascorso la mia giovinezza vendendo sigarette».
Detto ciò, la internet culture ha favorito l’ascesa alla popolarità di Arsène Wenger e del suo cappotto, soprattutto grazie a un meme che è diventato virale nel 2024: un audio che ripete «Good evening in North London, Arsène Wenger puts its coat on», accompagnato da un video in cui un ragazzo o una ragazza indossa un cappotto lungo simile a quello di Arsène Wenger, ovviamente nero, con il testo «My girlfriend dressed like she is about to go 49 games unbeaten and sub on prime Walcott». Un meme che riassume l'incredulità dei fidanzati nel vedere le proprie partner indossare una giacca che, prima che Arsène Wenger la sfoggiasse continuamente, si vedeva solamente nei popolari circuiti del grassroots football. Una giacca di cui la moda si è appropriata, reinterpretandola a piacimento e attribuendole un nuovo significato.
Tutti gli overcoat della Paris Fashion Week
A Balenciaga, Yohji Yamamoto, KidSuper, Issey Miyake, si sommano gli overcoat presentati in passerella da brand come Andreas Kronthaler, Christian Wijnants, Emporio Armani, Lacoste, Brandon Maxwell, Mame Kurogouchi e K-Way. Molti di questi hanno optato anche per colori più accesi, ma soprattutto non tutti si sono spinti così in basso, con il cappotto ad "altezza Wenger".
A dimostrazione di quanto l'overcoat di Arsène Wenger sia stato tanto essenziale quanto estremo, c'è il fatto che l'ultimo Balenciaga con Demna "in presenza" sia stato il brand che si è spinto in maniera più estrema con questo capo, realizzandolo in una versione total black e con volumi davvero oversized, che praticamente toccavano terra. Come se il georgiano avesse voluto chiudere in bellezza il suo percorso decennale da Balenciaga, come se questo lungo cappotto imbottito nero simboleggiasse una chiusura definitiva con il brand e l'inizio di un nuovo capitolo. Nonostante Balenciaga fosse il brand più prevedibile a realizzare questo capo, considerata la forte ispirazione della slav aesthetic, non è forse un caso che il cappotto oversized sia stato l'ultimo look presentato in passerella a chiudere la sfilata, come se fosse un capo pronto a funzionare come reset, pronto a indicarci anche in quale direzione potrebbe andare la moda, favorendo capi che coprono fronzoli di ogni genere, esattamente come faceva Wenger, rifiutando, di fatto, tutto il simbolismo legato alla cravatta rossa, rosso Arsenal.