Stile Johan Cruyff
New Sport Side
25 Marzo 2016
Johan Cruyff avrebbe potuto fare qualsiasi cosa avesse voluto. In un certo senso è stato così, se è vero che il più grande giocatore della storia olandese non si è fatto mancare alcun tipo di avventura, calcistica e non. Secondo il Guardian Cruyff è stato il primo vero calciatore superstar, nell’accezione beckhamiana del termine. Per un certo periodo della sua vita, di Johan Cruyff si sapeva tutto. Il suo matrimonio, il 2 dicembre del ’68 con la bellissima Danny Coster, diventò un evento mediatico, i suoi investimenti finanziari lo furono, e nella loro sconsideratezza ci regalarono ancora qualche anno del suo genio.
La sua carriera, la sua vita stessa, vengono ricordate da molti in ogni singolo particolare. Come quello di rifiutare il Real Madrid, squadra simbolo del dittatore Franco, per andare a giocare con gli “indipendentisti” del Barcellona. Come quando dovette volare in Olanda per registrare il nome di suo figlio Jordi – pur nato in terra catalana – essendo vietate tutte le possibili esternazioni di cultura culè. Johan Cruyff non è mai stato a sentire nessuno, se non se stesso e il suo fiuto. Johan Cruyff, oltre che il più grande rivoluzionario della storia del calcio è stato anche un’incredibile icona di stile, che ha reso più affascinanti gli anni ’70, come George Best aveva fatto quasi 10 anni prima.
Tra le tante cose che Cruyff ha trovato modo di essere durante la sua carriera, c’è anche il ruolo di pomo della discordia nell’eterna lotta tra Puma e adidas, i due brand rivali per eccellenza, nati dalla divisione politica che lacerò i due fratelli Dassler. Ai Mondiali del 1974 infatti, l’Olanda aveva trovato un accordo di sponsorizzazione per la sua divisa con le “tre strisce”. Di quelle tre strisce però la maglia di Johan ne vide solo due. Il numero 14 infatti rifiutò di vestire quella maglia se non gli avessero consentito di strappar via una delle iconiche tre linee. Fu, per certi versi, la prima volta che JC produsse qualcosa di suo.
La motivazione ufficiale era il faraonico accordo con la Puma, di cui Cruyff divenne testimonial globale. Troppo pulito il suo volto, troppo elegante il suo portamento, per evitare di ergerlo a simbolo di una azienda che provava a contrastare il dominio imposto dall’alleanza di Adi Dassler con Joao Havelange, presidente della FIFA. Diventò simbolo di stile anche la giacca marchiata Puma con il quale Johan, al fianco dell’inseparabile moglie che gli fece anche da manager, ritirò il suo primo (di tre) pallone d’oro, nel 1971.
Quando apparivano insieme, in pubblico, Danny e Johan suscitavano sempre scatti, attenzione. Divennero una coppia glamour, nell’epoca in cui il glamour cominciava a voler emergere, nell’unica città che in Spagna poteva permettersi d’andar fuori giri. Non era inusuale vedere Johan vestire i suoi maglioncini a collo alto, fisico slanciato e portamento regale. I capelli lunghi, liscissimi, fino a quando non ha smesso di giocate. E preso a fumare, tanto.
Amava le auto. Nell’indimenticabile documentario di Sandro Ciotti del 1976 “Il Profeta del gol”, Cruyff dice «mi piace guidare per i 20 km che separano il campo d’allenamento da casa mia, mi rilassa. Mi piacciono molto le automobili». E in tante foto di repertorio Johan è lì, con le sue camicie dai colletti tanto larghi, i pantaloni troppo a zampa e l’aria sicura.
Qualche mese fa Cristiano Ronaldo ha fatto sapere che una volta ritiratosi, non vorrà continuare a stare nel calcio. Né da dirigente né tantomeno da allenatore. Vuole dedicarsi alla coltivazione del suo brand, lanciato recentemente con una linea di abbigliamento di lusso. Se oggi – e per oggi intendiamo l’era post-Beckham – la cosa può ritenersi quasi normale, nel 1979 non erano in tanti a prendere sul serio i giocatori di calcio che volevano lanciarsi nel fashion.
L’inesauribile curiosità di Cruyff si spinse fin lì. Si diceva insoddisfatto della qualità dei prodotti mainstream che si trovano in giro. Dopo aver provato a convincere qualche brand della sua idea di fare (soprattutto) scarpe, Johan si rivolge al suo amico Emilio Lazzarini, che di professione fa proprio il designer di scarpe.
Cominciano a produrre scarpini che non dovevano essere solo comodi ma anche stilisticamente perfetti. “Luxury football” la chiamava. Nasce allora la Cruyff Classics, che negli anni ’80 viene indossata da Van Basten, più tardi da Denis Bergkamp. Il marchio cresce sempre di più, espandendo i settori di interesse e arrivando – durante le Olimpiadi di Seul del 1988 – a vestire tutta la delegazione olandese. Dal calcio, allo sport in generale al casual il passo è più breve di quanto si possa immaginare. Almeno per uno come Johan.
Nel 2012 la Cruyff Classics subisce un importante re-branding che la posiziona in un segmento di mercato ben preciso, dal luxury football ci si muove verso la Cruyff Clothing, la linea di abbigliamento che l’olandese disegna «ispirandosi al calcio totale», che dai tempi dell'Ajax e poi della nazionale olandese, fino ai suoi trionfi da allenatore del Barcellona, aveva aiutato a creare. Giacche, polo, camicie vanno ad aggiungersi alla sua linea di scarpe oramai avviata. Deciderà di venderle solo in Inghilterra, Spagna e Olanda. A casa sua, cioè.
Poteva fare tutto Johan, e infatti così è stato. Ha pensato di essere immortale fino a solo un mese fa, quando sul suo curatissimo website aveva fatto sapere di star vincendo «la mia gara con il cancro per 2 a 0». Per una sola, maledetta, volta, ha avuto torto.