Troppo bella per vincere
Eugenie Bouchard deve decidere: fare la tennista o l'influencer su Instagram
12 Gennaio 2017
La verità è che fino all’8 gennaio 2017, la Bouchard è stata in compagnia. E tra l’altro una compagnia nemmeno così angusta e sgradevole, se non fosse per il pericolo di una rasputiniana reazione dell’algida e morigerata Sharapova. Purtroppo il bel Grigor Dimitrov, pochi giorni fa, ha vinto il Brisbane international, iniziando bene un anno che dovrebbe essere quello dell’effettivo salto di qualità del tennista bulgaro. Il cambio generazionale, del resto, dovrebbe favorirlo in modo concreto: i fab four oramai non ci sono più – e da un bel po’, tra l’altro -, Nole Djokovic ha smesso di essere prepotente e si è trasformato in un giocatore quasi normale (dopo aver annoiato qualsiasi amante del bel tennis), lasciando a Murray il posto di bulimico; lo scozzese non ha però mai mostrato quell’avarizia e stabilità mentale (nel corso di alcuni match con giocatori superiori) che ha caratterizzato i dominatori degli ultimi vent’anni (e Borg). Federer riesce ad essere ancora un giocatore competitivo solo grazie ad una volontà che lo avvicina al divino; un giocatore fenomenale – e non un semplice grande campione – al posto suo, sarebbe già finito da un quinquennio, mentre lui rischia ogni anno di arrivare almeno in finale a Londra. Fuori dal concepibile. Per quanto riguarda le nuove leve, ci sono degli ottimi giocatori, come Zverev (che ha battuto re Roger in uno dei suoi regni, ad Halle) o Thiem, che ha già vinto 7 trofei (6 master 250 ed 1 master 500). Entrambi saranno sicuramente protagonisti dei prossimi anni, magari anche del 2017. Dimitrov è però avvantaggiato dalla maggiore esperienza, da una semifinale (quasi vinta) a Wimbledon e da un biennio difficile che però gli ha permesso di lavorare su alcuni punti deboli, potendo godere di un bagaglio tecnico-fisico ricchissimo.
Perché l’angelica Eugenie non ha fatto lo stesso? Usando questi due anni per sopperire alcune carenze caratteriali e – pochissime – tecniche, fino ad imporsi nella top ten. Nel 2014 arriva in finale a Wimbledon, da outsider, ed alcuni la davano addirittura per vincente; la Kvitova, sua avversaria, pur avendo già vinto il torneo 3 anni prima ricadeva spesso in problemi fisici, compensati però da un’eccellente tecnica. La Bouchard avrebbe potuto puntare molto sulla freschezza fisica, sul rovescio a due mani eseguito quasi da seduta (forse il suo colpo migliore), sull’imprudenza giovanile e su quegli occhi da cerbiatta che sfoggia quotidianamente su Instagram. Invece la canadese pensa bene di farsi riempire di schiaffi di dritto e lungolinea, racimolando 3 games in due set. Punto, gioco, set, match, incontro. Da quel momento, Geniè, ha capito che lo sforzo da impiegare per diventare una numero “1” sarebbe stato eccessivo; queste cose lasciamole a Martina Navrátilová.
La location è piuttosto conosciuta, ma in una delle ultime foto la tennista candese si libera da felpe di taglia XXL e dai sorrisi vergini. È la foto che saluta il 2016 ed accoglie il 2017, assolutamente in linea con le intenzioni repulsive verso il tennis. E quest’altra, dove lo smalto presentato in più di uno scatto, oltre ad essere di una bruttezza irrimediabile, sembra voglia ricalcare l’immagine dell’occhio di Sauron o del portale di Stargate.
Smalto che, per fortuna, viene abolito nel secondo scatto, dove chiaramente la Bouchard non sta andando ad allenarsi, pur vestendo una maglia con il suo sponsor tecnico, ma sta semplicemente facendo quello che le riesce meglio: l’influencer. Questa foto è il simbolo della potenza estetica della tennista canadese. Lo sguardo languido ma carezzevole, i capelli legati che dovrebbero suggerire sciattezza ma comunicano solo semplicità, ed il dito che è a metà strada tra il sostegno al mento e la tipica sensualissima immagine dell’indice tra i denti – con una preponderanza verso quest’ultima.
Un altro manierismo su cui la bionda Eugenié è solita improntare la propria attività social, è quello del capospalla cadente; una chiara manifestazione di seduzione commerciale, che non ha niente delle vere ed iconiche rappresentazioni dell’erotismo d’essai, come quello di Barbara Bouchet o di Edwige Fenech. Si tratta solo di una raffigurazione meccanica e razionale di qualcosa che dovrebbe essere innato ma non lo è, come, invece, è per Emily Ratajkowski. La Bouchard ha dalla sua una bellezza quasi trasparente, che stona con le manifestazioni aggressive delle forme o degli sguardi.
Si tratta di quei canoni estetici che vengono suggeriti molto meglio in un’immagine come quella di sopra, dove non basta il pullover girocollo, la totale assenza di trucco o di uno shampoo fatto da poco, ma viene addirittura coperto qualsiasi lineamento grazie al camice della Rolex. Lineamenti che, al contrario, sono perfettamente esibiti in tutte le fotografie che la ritraggono durante o alla fine dell’attività fisica; o, ancora meglio, nel video reperibile su Instagram in cui strizza la maglia fradicia di sudore appena concluso lo sforzo fisico.
Ma la Bouchard non si limita a questo, perché si fa riprendere mentre legge nella biblioteca di Yale o si burla di Kim Kardashian per la serata di Halloween, entrambe con estrema disinvoltura. Ma anche intenta a farsi una foto con Justin “chetuttopuò” Trudeau e Celine “andouioh” Dion, perché no?
Allo stesso modo, ma con meno disinvoltura e maggiori evidenti segni di forzatura caratteriale, Eugenié si piega ad utilizzare la funzione canina di snapchat, pubblica una foto d’annata, un’immagine di lei appena sveglia (sul serio?) ed una in cui riesce solo grazie alla propria avvenenza a non cadere nel ridicolo mentre riproduce egregiamente una gattina.
E pensare che sarebbe bastata la pur meditata ed inscenata immagine di lei che usa l’Hula Hoop a farci innamorare, o anche della tenerissima scena in cui chiede aiuto per levare le scarpe dopo l’allenamento.
Questa seconda foto è paradigmatica di come l’attività sui social network sia cambiata nel corso dei due anni: ovvero dall’uso strettamente personale e realisticamente ironico, sino a quello mediato e costruito tipico delle fotomodelle. Non che questo ci dispiaccia, sia chiaro. È che noi ci credevamo, quella finale di Wimbledon l’abbiamo vista sperando in una definitiva sintesi tra bellezza e grandiosità. E non possiamo credere che sia solo la rottura con la fredda Maria ad aver avvantaggiato Dimitrov - e non ci è parso di individuare un “lui” nelle immagini della bella canadese -, ma si tratta di fare una scelta di abnegazione. Il tennis chiede ai propri protagonisti di modellare il loro carattere e la loro psicologia, fino a diventare solidi come il David di Donatello, e lei in principio ci riusciva.