Il Jimi Hendrix del basket: Dennis Rodman
The Basketball's Disease
20 Gennaio 2017
C’è un aria particolare nello spogliatoio, manca quello spirito guerriero e di sicurezza che ha accompagnato da sempre i Bad Boys di Detroit nella corsa al titolo degli anni precedenti. Quando l’arbitro ha fischiato la fine dell’ultima gara di campionato Dennis non era nemmeno in campo e dopo la doccia non salutò nemmeno uno dei compagni con cui aveva diviso i lividi, la gioia ed i malumori che hanno segnato i due titoli vinti nel 1989 e nel 1990. In questa stagione chiusa con un record negativo di 40-42 l’umore è tutt’altro che alto. Dennis scompare letteralmente dalla circolazione ed intorno all'una del mattino è seduto al secondo piano del The Landing Strip Club, con una pistola nella mano destra pronto a spararsi. All’improvviso qualcuno gli poggia una mano sulla spalla, è Craig Sager, il giornalista sportivo scomparso lo scorso dicembre: «questo è stupido, perché vuoi farlo?».
Visto da fuori, Dennis Rodman assomigliava molto a Jimi Hendrix, sia per atteggiamento, sia per quello che aveva realizzato in ambito sportivo. Una rock star stava per nascere ma in quel momento dentro c’era solo un vuoto ed una pistola stretta tra le sue mani.
Cercare di entrare nella mente di una persona è complicato, cercare di entrare in quella di Rodman lo è molto di più. Ripercorrendo la sua storia è chiaro come rappresenti il frutto di ciò che ha passato e di come è cresciuto. L’equilibrio nella sua vita è stato sempre assente, e infatti quello non fu l’unico tentativo di suicidio dell’ex numero 10 dei Pistons . Quella volta fu la polizia a trovarlo addormentato nel furgone e per due volte consecutive Dennis non ebbe la forza cupa di premere il grilletto per togliersi la vita.
Ma da dove arriva tutto questo malessere?
Dennis venne abbandonato dal padre a solo cinque anni, le sue due sorelle lo difendevano con il fucile dai ladri mentre la madre faceva tre lavori per poter vivere. Al liceo non era granché, nella squadra di basket non entra mai in campo e in quella di calcio fu scartato, finendo a lavorare al Dallas Fort Worth International Airport. Avventura durata poco, perché fu arrestato per aver rubato degli orologi. Emotivamente crolla, quando esce dal carcere scappa di casa, ma all’improvviso arriva quasi ai due metri di altezza e decide di riprovare col basket. Fu la prima volta che si manifestò tutta la gioia “inumana" che aveva verso questo sport. Sul campo era ovunque: in difesa, in attacco, a rimbalzo, il suo cuore batteva all’unisono con il rimbalzo di quella sfera su qualsiasi parquet d’America.
Arriva presto in NBA, dove vince rapidamente, e per due volte consecutive, il trofeo di NBA Defensive Player of the Year. Ma, come abbiamo già detto, ci mette poco a crollare di nuovo. Detroit non ce la fa più, e lo manda a San Antonio, agli Spurs “dell’ammiraglio” David Robinson. Lui si tinge i capelli dello stesso colore di Wesley Snipes nel film “Demolition Man” e comincia coi tatuaggi. “The Worm”, "il verme" - soprannome datogli dalla madre per come si muoveva mentre giocava a flipper - divenne lo showman in una città persa nello stato del Texas.
I suoi party in città diventarono leggenda, e durante uno di questi, una studentessa del Michigan dal nome italiano, Veronica Ciccone, gli spegne una sigaretta sulla spalla per attirare la sua attenzione. La storia con Madonna è rovente, ma finisce male perché lei non gli permetteva di usare il preservativo e lui era semplicemente terrorizzato dalla possibilità di ridiventare padre. E poi non voleva essere il suo “Toyboy"!
Dagli Spurs passa a Chicago, dove Phil “Zen” Jackson lo mette di fianco a Michael Jordan e Scottie Pippen fino a fargli vincere altri tre titoli NBA.
Durante alcune delle finali più famose di sempre – quelle tra Utah e Chicago - lui non restava a Utah ma volava a Las Vegas per far festa e ritornava in orario per scendere in campo
Con Rodman le statistiche e i numeri sono superflui, quello che faceva in campo era irripetibile, lo sa persino Michael. Certo, poi basta un nulla perché desse un calcio ad un fotografo o si facesse espellere per qualche rissa. Jordan disse di lui: “centimetri per rimbalzi presi è il migliore di sempre”.
Si è rotto il pene 3 volte, fu multato ed arrestato perché atterrò con un elicottero nel giardino di casa sua, ha sposato se stesso e si è vestito più volte da donna alla presentazione dei suoi libri. Ha costretto Phil Jackson ad accompagnarlo alle sedute per uscire fuori dal baratro dell’alcool, ha letto più volte il giornale in panchina durante una gara ufficiale di campionato, ha scopato con più di sei donne contemporaneamente, ha avuto una carriera nel Wrestling, partecipato il Grande Fratello, ha fatto l’attore in diversi film… ha fatto forse tutto quello che si poteva fare in 9 vite!
Durante il suo discorso per entrare nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, singhiozza, lacrima e non riesce a parlare, ammette che se non ci fosse stato il basket, forse sarebbe morto o sarebbe diventato uno spacciatore. Ma alla fine è diventato il giocatore più emotivo ed uno dei più forti di sempre. Non ha mai giocato una partita senza rispettare l’amore per il gioco o senza soffrire.
«I go out there and get my eyes gouged,
my nose busted, my body slammed.
I love the pain of the game».