Ronnie Fields, Mr. Chicago Basketball
The Basketball's Disease
27 Gennaio 2017
«Peace is not merely a distant goal that we seek, but a means by which we arrive at that goal.» Martin Luther King, Jr.
Si narra che potesse saltare gli anni di liceo e finire diretto nella NBA. Nello stato con il nome scritto con la “S” finale ma che non si pronuncia, Ronnie Fields nasce a Maywood di fianco ad un playground dove sono apparsi Nat “Sweetwater” Clifton e Steve Space. La sua casa è a venti minuti dallo United Center di Chicago dove attualmente è tirata su la statua di Michael Jordan. Sì proprio quel Michael a cui costrinsero di rifiutare la sfida contro Ronnie nel 1996 per uno spot commerciale, lo sostituirono con Tim “Bug” Hardaway che uscì dal duello più che malconcio.
A dodici anni firma già il suo primo autografo dopo una partita della sua Mason Junior HS dove aveva schiacciato in testa a gente più grande e più grossa di lui. Il primo giorno di liceo, incontra un ragazzo smilzo, più nero del carbone ma con una passione irreale nelle cose che ama, l’unico problema è che quando parla ti urla addosso, sopratutto in campo. Alla Farragut Academy dolo una “quasi rissa” tra i due, il suo migliore amico diventa Kevin Maurice Garnett, futuro campione e superstar della NBA. I due come personalità però non vanno molto d’accordo anche perché è Ronnie il predestinato e per le cose che faceva in campo era diventato “l’eletto” della Nike e dell’adidas prima ancora di: Leonard Myles, Quentin Richardson, Jimmy Sanders e molti altri futuri campioni.
Tutti gli dicevano che avrebbe avuto tutto, macchine soldi e fama. Al secondo anno di liceo gli avevano stampato dietro la schiena il soprannome di “Mr. Chicago Basketball” ed una gara di schiacciate del Nike Camp persino Vince Carter si rifiutò di partecipare contro di lui. Ecco Vince per chi non lo sapesse, saltò sorvolando il francese Weis (ancora in cura per l’accaduto dallo psicologo) durante una game alle olimpiadi per schiacciargli in testa, entrando nella storia dello spettacolo sportivo oltre a diventare un futuro Hall of Famer del gioco.
La sua vita però è stata diciamo sempre in salita, da piccolo si salva per miracolo da un incidente dove fu investito tre volte. Ovviamente quando diventi "Mr. Chicago Basketball” vivi alla grande. Dopo che Kevin Garnett cambiò liceo ad anno in corso, il giorno del suo 19esimo compleanno, si schianta verso l’una con un auto a noleggio nella contea di DuPage. La macchina però era di Ron Eskridge, volunteer coach e “uomo Nike" al fianco dell’headcoach William Nelson. Era l’uomo che decideva chi doveva andare “oltre” a Chi-Town. Ronnie sconfisse persino Allen Iverson al torneo "Best of the Best” della Nike.
Si rimette in piedi e diventa più cattivo al ferro, segna tutto quello che c’è d’impossibile e non. Chiude l’ultimo anno da liceale con 32,4 punti, 12.2 rimbalzi, 5.1 assist, 4.5 blocchi, 4 palle rubate, e 4.5 schiacciate a partita. Fallisce l’American College Test in quattro tentativi per andare alla DePaul University ed emula il suo ex compagno KG che finge di andare alla Michigan University per poi fare il salto nella lega professionistica, l’NBA. Ma il 16 settembre il tribunale di Wheaton Illinois lo condanna a due anni di libertà vigilata più 15 giorni di lavori sociali e 750 dollari di spese legali per abusato assieme ad un suo ex compagno di squadra della sua ex ragazza. Il dramma però furono i dettagli emersi e l’episodio avvenne neanche 48 ore dopo che DePaul ritirò la borsa di studio per Ronnie. L’appartamento dove avvenne il crimine indovinate a chi era intestato… ovviamente a Eskridge.
Finisce in Italia alla Virtus Bologna, fa un toccata e fuga alla Scaligera Verona, e vaga senza meta per la Turchia e ritorna in America passando per il Venezuela. Coach Calipari stravede per lui ma lui si brucia anche il provino per i vecchi New Jersey Nets. Chiude tutte le sue avventure nella CBA per molti anni restando comunque un giocatore spettacolare ma senza mai trovare la pace dentro di sé.
Purtroppo per lui e per noi non è mai diventato il “Next MJ” o il “King of Hoops”, forse non aveva abbastanza amore per questo gioco.