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More Than - Franco Tongya

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Franco
Tongya

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La prima volta che ho visto Franco Tongya è stata attraverso un monitor, cercavo delle foto della Juventus e per caso tra i milioni di risultati è apparsa anche la sua faccia. Una ricerca totalmente inaspettata su cui però mi sono soffermato per qualche minuto, notando già all’epoca quanto sembrasse un giocatore differente dagli altri. Mi capita spesso di invaghirmi di calciatori in generale, sia per il loro modo di stare sul campo sia per il loro stile, senza nessuna precisa ragione, capita saltuariamente per chi fagocita questo sport come il sottoscritto, in parte forse potrà capirmi. Il giovane classe italiano 2002 è stato indubbiamente tra questi, prima di trasferirsi a Marsiglia allontanandosi così dai miei radar e lasciando spazio ad altre fissazioni. L’ho ritrovato alla presentazione a Milano del primo libro di nss sports, Les Vêtements De Football. In quell’occasione si è parlato soprattutto dell’ormai consolidato binomio tra calcio e moda. Ed è proprio per questa sua personalità mescolata alla sua attitudine che ho pensato fosse perfetto per essere il decimo protagonista di More Than, una serie che nasce e si ispira a giocatori con una forte personalità, specialmente al di fuori del campo. Già in quell’occasione l’attuale numero 10 dell’Odense aveva dimostrato una spiccata propensione per il mondo della moda, una passione che è cresciuta di pari passo con quella verso il calcio.

Franco Tongya è molto attento nella gestione della propria immagine, non è un tipo che lascia al caso la sua rappresentazione e, come è possibile capire dai suoi canali social, ha un forte stile personale che lo contraddistingue dal resto dei calciatori. “La moda mi appassiona, per questo presto molta cura a come mi vesto, ma per il momento non sono mai stato invitato ad una passerella e non lavoro con uno stylist. In questa sede, ho avuto l’occasione di lavorare insieme a Selma Kaci, che si è dimostrata una vera player del settore. Dopo l’intervista, ci siamo sentiti e le ho confidato la mia volontà di entrare in punta di piedi nel mondo della moda: mi ha risposto che adora la mia visione ed è pronta a darmi una mano.” La nuova generazione di calciatori, rispetto ai loro passati colleghi, ha saputo al meglio declinare le loro passioni, dimostrando come nella vita di un atleta possano esserci anche altri interessi oltre la partita e gli allenamenti. È così riuscita a dare punti di vista inediti al mondo del calcio, che ha ripreso le influenze arrivate dallo sport d’oltreoceano regalando al calcio una nuova narrazione, non più confinata ai risultati sportivi ma capace di spaziare al di fuori di essa.

“Credo che il calcio e la moda costituiscano un connubio spontaneo perché, se da un lato il calcio è una cultura che ha un suo valore, per altro verso la moda è il linguaggio più forte, di maggior presa, per comunicare una cultura, quindi, per interpretarla. Oggi i rapper si vestono firmati e indossano capi appariscenti per raccontare che ce l’hanno fatta, che sono emersi da una situazione di marginalità, per essere un’ispirazione. A differenza del cantante, per mestiere, il calciatore non può comunicare questi valori attraverso le parole, ma può farlo attraverso l’immagine, per questo motivo più la sua immagine sarà iconica, più parlerà “forte”, avrà voce. Per questo, oggi, insieme al mio team stiamo lavorando sulla costruzione della mia immagine. È una cosa che, al momento, non tutti i miei colleghi hanno la lungimiranza per capire, ma sono certo che presto si renderanno conto.” La sua professionalità va di pari passo con i risultati sportivi, visto come a soli 22 anni Franco Tongya abbia già collezionato tante esperienze, giocando in tre diversi paesi europei. Dopo l’Italia e la Francia, il giovane attaccante italiano è approdato alla corte dell’Odense Boldklub dove proprio domenica ha segnato, con una coordinazione perfetta degna di Holly&Benji, un gol in mezza rovesciata che può tranquillamente esser candidato per il Puskás Award. La Superligaenche non gode della stessa popolarità della Premier League o della Serie A, ma possiede dinamiche di gioco rapide e moderne, come ci conferma lui stesso: “in Danimarca il ritmo di gioco è più incalzante, è un ping pong di azioni verso la porta da parte di ambedue le squadre, si gioca ad alta intensità, probabilmente anche un po’ a scapito della tattica e dell’aspetto più difensivo del gioco.”


Sicuramente una dimensione diversa rispetto a quella a cui era abituato, campionati in cui Franco Tongya ha consolidato il suo talento e coltivato la sua passione: “a Marsiglia ho ritrovato un modello molto simile a quello della Juventus, in quanto al percorso di crescita del vivaio: all’estero il “progetto seconda squadra” è radicato ormai da tempo, prima fra tutte la Masia. Non so se sia un progetto confacente alle esigenze del calcio italiano, ma potrebbe essere un’idea da approfondire”. Quella per il calcio è passione nata fin dalla più tenera età, dalle radici nella sua infanzia: “da bambino i miei genitori mi regalarono una palla e, innamorato dell'oggetto, siamo diventati fin da subito inseparabili. Siccome i danni che facevo in casa sono diventati presto irreparabili, mio papà ha iniziato a portarmi al campetto della periferia dove abitavamo. A quattordici anni, ho firmato il mio primo contratto con la Juventus e ho capito che, attraverso il calcio, avevo in mano lo strumento per ripagare i sacrifici compiuti dai miei genitori per mantenere la nostra famiglia in Italia e avere il privilegio di poter sognare una carriera da calciatore.”

“Ho sempre cercato di trasformare gli episodi di razzismo che ho vissuto sulla mia pelle in uno sprone per la mia carriera, nonostante alcuni di questi mi abbiano atterrito. Da bambino non ho mai avuto un modello da seguire, per questo motivo mi piacerebbe diventare un esempio positivo per tutti i ragazzi neri, che come me, sognano di fare il calciatore.”
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“Ho sempre cercato di trasformare gli episodi di razzismo che ho vissuto sulla mia pelle in uno sprone per la mia carriera, nonostante alcuni di questi mi abbiano atterrito. Da bambino non ho mai avuto un modello da seguire, per questo motivo mi piacerebbe diventare un esempio positivo per tutti i ragazzi neri, che come me, sognano di fare il calciatore.”
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Un legame spesso messo a dura prova, a causa di motivazioni assolutamente dannose e violente legate al colore della sua pelle. Franco Tongya è infatti un italiano di seconda generazione, una terminologia in certa misura contraddittoria ma che il nostro protagonista ha sempre considerato come un valore aggiunto, una forza motrice in grado di tirar fuori il meglio: “al netto delle criticità, mi piace guardare all’essere un italiano di seconda generazione, un italiano nero, come ad un’opportunità. Da bambino non ho mai avuto un modello da seguire, per questo motivo mi piacerebbe diventare un esempio positivo per tutti i ragazzi neri, che come me, sognano di fare il calciatore. A questo fine, oltre che sul campo, sto lavorando sulla mia immagine per guadagnarmi la possibilità di comunicare e rappresentare un punto di riferimento per questi ragazzi.” Un’opportunità e un riferimento che, nel suo piccolo e a suo modo, qualche mese fa ha cercato di dare ad altri ragazzi che come lui condividono la passione per il calcio, per far emergere il talento, a prescindere dal contesto sociale di partenza. Utilizzando un noto parco nel cuore di Torino, Tongya ha organizzato una partita all’insegna dell’integrazione e del divertimento. Valori che il calcio dovrebbe sempre comunicare, ma che troppo spesso sono ostruiti nella maniera più becera. A tutte le sue difficoltà l’attuale attaccante dell’Odense ha però trovato il modo migliore per rispondere, sul campo, facendo parlare i fatti e prendendosi lo spazio che merita: “ho sempre cercato di trasformare gli episodi di razzismo che ho vissuto sulla mia pelle in uno sprone per la mia carriera, nonostante alcuni di questi mi abbiano senza dubbio atterrito. In particolare, ricordo nitidamente un derby, a quindici anni, in cui un avversario mi aveva offeso per il colore della mia pelle, ma ricordo con piacere il risultato della partita e il tabellino dei marcatori.”

Un discorso importante quanto complesso ma che lui stesso ci ribadisce, “l’istruzione e la cultura sono i modi migliori per combattere questo fenomeno ed estirparlo, per questo motivo, il primo insegnamento deve venire dalla scuola e dall’esempio dei genitori”. Lo sport infatti è un momento di aggregazione, un contesto dove l’unica differenza, anche da piccoli, deve essere il talento e la classe messa in campo: “a quell’età un pallone unisce tutti in unico campo, indipendentemente dall’etnia e dall’estrazione sociale.” E con la stessa determinazione con cui il giovane calciatore ha in parte coltivato il proprio sogno e dopo quella strana ricerca che mi ha fatto conoscere prima il suo stile e poi il suo talento, ci salutiamo così. “Ho giocato tutte le categorie della nazionale italiana fino all’ U21 e ho avuto l’occasione di essere nei due stage organizzati dal ct Mancini. Il mio sogno più grande è vincere il Mondiale con la Nazionale maggiore”. E chissà se, in un momento storico, in cui la nazionale è alla disperata ricerca di attaccanti pescando addirittura dall’Argentina, non possa avverarsi presto.

Photographer: Marcus Nielsen
Stylist: Selma Kaci Sebbagh
Interview: Emanuele Mattia D'Angelo
Production: nss factory / Selma Kaci Sebbagh