L'eterno ritorno di Balotelli in azzurro
Come negli anni è diventato sia un simbolo del talento sprecato che l'ultima risorsa della nazionale azzurra
26 Gennaio 2022
Pensavo fosse impossibile trovare ancora una copia del Time con Balotelli in copertina, invece no. Su ebay c’è un’asta che parte da 60 euro per una copia sulla quale si legge in alto a destra ancora bene l'anno di pubblicazione. 2012. Ci si chiede allora perché nel 2012 l'attaccante italiano, oggi richiamato per tre giorni di stage da Mancini in Nazionale 1332 giorni dopo l’ultima volta, era sulle cover di uno dei magazine più importanti al mondo e adesso sia diventato un sondaggio sui siti di gossip e di calcio?
Balotelli ha smesso di essere un calciatore che sposta al Brescia, dopo aver giocato tre anni in Francia, dal 2016 al 2019 e prima di finire al Monza per sei mesi e, da settembre, in Turchia all’Adana Demirspor, dove finora ha segnato 7 gol in 18 partite. Ma con più giudizio tecnico, si può dire che in campo il suo ultimo picco è arrivato nel 2017 al Nizza. Poi troppe bocciature sportive - tutte giustificate - e un’attitude perniciosa fuori dal campo. Nel frattempo implacabile è passato il tempo, e con lui mode e infatuazioni.
Il Balotelli che piaceva era un’icona di stile, il secondo Most stylish man secondo GQ UK nel 2012. Era quello che finiva nelle copertine di Sports Illustrated, di L’Uomo Vogue, GQ Italia, Vanity Fair e, appunto, del Time, che nel 2012 lo avrebbe anche inserito nei 100 personaggi più influenti del mondo. Perfino Spike Lee, un giorno, disse che lo avrebbe voluto incontrare. Il periodo che va dal 2009 al 2015, quello del Why always me, del capocannoniere di Euro 2012, dei muscoli tesi e con la maglia del Milan è stato per Balotelli il top della sua carriera, peraltro in concomitanza con qualche titolo vinto, come quelli in Inghilterra con il City.
Si presentava in giro a Milano per via Montenapoleone e corso Buenos Aires con le sue Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio, o la Maserati Gran Turismo o una Bentley Continental camo o, ancora, la Ferrari F12 Berlinetta (costo 320mila euro), tutte uscite del suo garage a cui Toptenfamous ha dedicato un video su Youtube. Poi passeggiava, magari con Mino Raiola o Raffaella Fico, per negozi. Sneakers di PUMA - di cui era testimonial dopo i primissimi esordi in Nike -, pantaloni Dsquared2 con vista sulle mutande Armani, pellicce, camicie sbottonate, occhiali da sole Gucci, cappellini New Era, felpe oversize e ogni tipo di shorts tamarro che potessero esistere. Effettivamente era molto rebel negli outfit, fidelizzato a un’estetica da bad boy, che per i tempi andava benissimo. Chiamato a sfilare alla Runway fashion for relief di Cannes nel 2012, Balotelli era spesso nei front row degli show di Versace, di White, Brian Atwood alle varie Milano fashion week. A GQ UK una volta rispose: “Il compagno di squadra meglio vestito? Me”. D’altronde, per molti della gen Z Balotelli è stato un role model. I ragazzi dicevano “Mi metto il cavallo basso”, come Balo. “Mi sono fatto espellere dopo un gol”, come Balo.
Ma soprattutto, è stato un riferimento per la black community italiana. Quando si è tolto la maglia dopo il gol alla Germania - ai tempi la Lega aveva il 32% di popolarità e la retorica sull’immigrazione era in costante ascesa - Balotelli mostrò i muscoli e per un attimo il suo sguardo rivelò una consapevolezza di quello che era realmente, dimenticandosi delle macchine, dei look, del lusso. Non era un ventenne con un pallone, ma il ventenne con il pallone che può essere un game changer, un riferimento per tanti italiani di seconda generazione come lui. Il razzismo infatti lo conosceva bene: la gente negli stadi lo utilizzava contro di lui perché semplicemente non poteva sopportare che uno come Balotelli, oltre che forte, fosse anche stronzo. E nero. E italiano.
Uno come lui in Italia e in Europa era per forza l’uomo del momento e le letture che ne davano i vari Times e GQ si muovevano proprio su questa traccia: la responsabilità culturale e sportiva del momento per Balotelli. Che essendo stato uno dei primi italiani di seconda generazione a raggiungere la fama, quella vera, è stato caricato dalle aspettative che valgono solo per chi dev'essere un esempio a tutti i costi diventando un simbolo di qualcosa che neanche lui sapeva. Pensiamo come su talenti imparagonabili, come ad esempio Moise Kean, su cui, non a caso, è stata subito appiccicata l’etichetta di nuovo Balotelli.
Ma nella vergognosa sufficienza del paragone si evidenza un fatto inevitabile. Che il carattere di Balotelli non abbia retto il peso del ruolo che il mondo gli stava cucendo addosso e si è fatto sovrastare da un io interiore troppo mitomane e nichilista. Le serate in discoteca, le polemiche, il gossip e i vortici mediatici sono esperienze che hanno colpito Beckham e altre celebrities, fanno parte di ogni carriera di calciatore di successo. Ma lui è stato troppo ripetitivo, ogni volta uno scivolone per una foto su Gente o l’articolo del mercoledì mattina sull’ennesima multa per eccesso di velocità. Poi le relazioni e la focosità di certi atteggiamenti in campo - litigi con allenatori e compagni, risse, espulsioni - ne hanno mangiato l’immagine fino a fargli perdere credibilità e stima.
Soprattutto, hanno incrinato il rapporto con Roberto Mancini, adesso allenatore della Nazionale e padre sportivo del giocatore. Le carriere dei due si sono intrecciate indissolubilmente da quando Mancini lo ha fatto esordire a soli 17 anni con l’Inter, se l'è portato in Premier League al Manchester City e per ben due volte lo ha fatto tornare in Nazionale. Una volta nel 2018, immediatamente dopo l'abbandono di Conte, e adesso con questo stage: definitivamente il suo giocatore feticcio al quale affidarsi nei momenti più bui della nazionale azzurra. Ma la gestione del legame con Mancini è anche un termometro dell’insostenibilità caratteriale di Balotelli. Reazioni e litigi senza senso che con un altro allenatore sarebbero costati una cacciata dalla squadra mentre Mancini gli ha sempre garantito una seconda possibilità. Il tipo di atteggiamenti che ha tenuto con il CT dell’Italia – rissa in allenamento, rosso dopo pochi minuti, colpi di tacco senza senso – sono quelli con cui Balotelli ha depotenziato la sua carriera ma che grazie al suo mentore torna ad avvicinarsi verso l'azzurro.
Adesso che Mancini lo ha richiamato, specificando in conferenza stampa che “l’Italia non è alla disperazione”, ci dobbiamo chiedere se abbiamo veramente bisogno di Balotelli. Paolo Di Canio a Sky Calcio Club ha detto esattamente il contrario (“Se chiamiamo Balotelli siamo alla frutta”) e dopo un’esperienza in Serie B e un discreto rendimento in Turchia, definire Balotelli una risorsa per la Nazionale potrebbe essere oltraggioso. Nel 2018 era tornato in azzurro con gol, ma era durante una stagione con il Nizza da più di 20 reti. Insomma, era ancora un Balotelli competitivo. Questa chiamata invece sembra più una cortesia, un gesto d’affetto di Mancini visto che si tratta solo di uno stage e difficilmente si risolverà in una futura convocazione. Ma nel caso, vorrebbe dire scegliere un attaccante di 31 anni del Dana Demirspor e se Mancini arriverà davvero a utilizzare Balotelli per le qualificazioni al Mondiale, l’Italia vivrà nuovamente la sua relazione di amore e odio verso uno dei suoi figli più controversi.