Vedi tutti

Chi saranno i Direttori Creativi nello sport del futuro?

Big Sean e Daniel Arsham segnano un nuovo trend che unisce più settori

Chi saranno i Direttori Creativi nello sport del futuro? Big Sean e Daniel Arsham segnano un nuovo trend che unisce più settori

La notizia ufficiale dell'ingresso nell'organigramma dei Detroit Pistons di Big Sean ha fatto alzare più di qualche antenna. Il rapper che ha inciso Feels con Pharrell Williams e Calvin Harris e collaborato con i più grandi della scena musicale del rap americano sarà il nuovo Direttore Creativo della franchigia, con poteri simili a quelli che i Cleveland Cavaliers meno di un mese fa hanno conferito a Daniel Arsham, creativo e designer americano che unirà l'arte e lo sport. Big Sean è nato a Santa Monica, CA, ma cresciuto a Detroit. I Pistons sono la squadra per cui fa il tifo sin da bambino e l'impegno che metterà in questo nuovo ruolo sarà importante. Big Sean, così come Arsham, avrà la guida delle strategie in materia di progettazione del merchandising, di attività off-the-court e di game experience. 

La figura del Creative Director è più visibile in uno scenario sportivo come quello americano, mentre è molto più difficile rintracciarla in un management calcistico. Spesso questo ruolo è inglobato da altre figure e si dà poco risalto ad una guida che riesca ad essere il punto di congiunzione tra la parte creativa e la parte più operativa. Anche quando si è nella condizioni di poter capire a chi è affidata la direzione creativa di un club o di una franchigia, difficilmente il background si discosta dall’ambito sportivo. Ecco perché Big Sean e Daniel Arsham sono due personalità che stanno cambiando questo rigido assetto dello sport business.


Il design, l'arte, la moda e la musica sono tutti settori che stanno incrociando il mondo dello sport e soprattutto quello della NBA. Quelle dei Cavs e dei Pistons sono sostanzialmente due franchigie in fase di rebuilding, ovvero sia quella parte del processo tecnico che serve per preparare la squadra a tempi migliori e più competitivi. Tradotto in termini pratici: non importa se nel presente si vince o si perde, l'importante è costruire una base solida per progettare il futuro. Un futuro che necessariamente passa per la percezione che gli addetti ai lavori e i giocatori stessi hanno della squadra, del front office, del management. In termini più stilistici si potrebbe definire come brand awareness, anche perché tutte le società sportive - soprattutto quelle inserite nel sistema sportivo americano - sono considerati dei brand a tutti gli effetti.

La scelta di affidare la direzione creativa a personaggi apparentemente distanti dallo sport in senso stretto è il riflesso di una tendenza che sta prendendo sempre più piede nello sport professionistico. Affidare la ricostruzione dell'immagine della franchigia a personalità specializzate in altri settori dice tanto sulla fase ormai matura di cross-settorialità che sta vivendo l'industria sportiva. Per certi versi, questo trend è iniziato con i primi risultati positivi di Roc Nation, un'agenzia media all-around che spazia tra i campi più disparati portando profitti e facendo crescere la reputazione su target ben precisi. Basti guardare come nell'ultimo anno l'AC Milan sia cresciuto in chiave digital e come sia passato da un pubblico adulto-anziano ad uno decisamente più giovane.


Essere "open mind" in qualsiasi scenario è un vantaggio, ma nello sport è un’arma vincente ed efficace. Non esiste, quindi, un’unica chiave di lettura per interpretare la scelta di attingere a settori diversi da quello sportivo. Le ipotesi plausibili sono tante, così come gli esempi vincenti in ambito moda. Una potrebbe essere proprio l'estraneità da certe dinamiche, elemento fondamentale per pensare out-of-the-box e sviluppare il pensiero "open mind" - basti considerare che il Direttore Creativo di Louis Vuitton, Virgil Abloh, non è uno stilista in senso stretto ma un architetto. Ma spiegazioni plausibili vanno da mere operazioni di marketing fino al contesto in cui vengono inserite queste figure. Essere in fase di rebuilding concede maggior libertà anche di scelta; scelte che possono essere radicali, a differenza di quando si ha necessità di raggiungere obiettivi più a breve termine. 

Per parlare il linguaggio di una comunità bisogna affidarsi a chi la comunità la conosce bene, dall'interno. Se si vuole trasformare una franchigia in brand, bisogna conoscere gusti, abitudini e attitudini. Per questo motivo Detroit si è affidata ad un figlio di Detroit e Cleveland si è affidata ad un figlio di Cleveland - il terzo in ordine di importanza, dopo LeBron James e Steph Curry. In maniera quasi paradossale - considerando che la NBA è la lega professionistica più globale che esista - la local culture è sempre più predominante sul mercato americano e avere coscienza del tipo di culturale e del tipo di pubblico da intercettare può fare tutta la differenza del mondo.


Al momento l’esperimento dei "creative director del futuro" appartiene quasi solo esclusivamente al mondo NBA. Nel calcio si è iniziato  a sviluppare il bisogno di gestire una società come un’azienda circa 10-15 anni fa, ma ancora in pochi riescono a percepire una squadra di calcio come un brand in tutto e per tutto. PSG, City, Juventus sono le squadre più pronte ad abbracciare questa nuova filosofia e, chissà, in futuro anche i Bianconeri potrebbero avere un Direttore Creativo sui generis che potrebbe ancora di più rivoluzionare le strategie del club.