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More Than - Gabriel Martinelli

Devotion

More Than - Gabriel Martinelli Devotion

Gabriel Martinelli

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Brasile, Guarulhos, quartiere di San Paolo. Non proprio il classico scenario brasiliano in cui si immagina che sia cresciuto un sudamericano con il calcio nel sangue. San Paolo si erge sulla catena montuosa della Serra do Mar, anche se, alla fine, non è poi così lontana dalle spiagge bagnate dall’Oceano Atlantico, dove gli scenari assomigliano a quelli di City of God di Fernando Meirelles e Katia Lund e quelli del documentario su altinha a cura di Jean-Marc Joseph. In questo contesto è cresciuto Gabriel Teodoro Martinelli Silva, noto ai tifosi dell’Arsenal semplicemente come Martinelli. Solo a sentirlo, questo cognome dà l’impressione di parlare di un ragazzo tranquillo e calmo, che esprime la sua tecnica restando sulle sue, concentrato sul manto dell’Emirates.

Martinelli oggi è alla sua quarta stagione con i Gunners, dopo essere stato professionista in patria con l’Ituano. Il 2025 è l’anno della sua consacrazione, e lo si vede dalla serietà con cui mi parla e dall’attenzione che dedica nel non sbilanciarsi troppo, nel dosare le sue parole. Martinelli è un tipo pacato, silenzioso, che non ha nulla a che vedere con il brasiliano stereotipato che abbiamo conosciuto con il boom calcistico degli anni Duemila. È concentrato, una personalità tutta da scoprire, e proprio per questo è l'ultimo protagonista di More Than.

«Cosa potrei chiedere di meglio in questo momento? Assolutamente nulla. La mia famiglia sta bene, io mi sento alla grande e in salute, ma soprattutto gioco all’Arsenal, uno dei club più importanti del mondo. Non cambierei nulla della mia vita in questo momento». Non deve essere semplice lavorare sulla propria consapevolezza, specialmente quando si è parte di una nuova generazione di talenti che non ha più scuse: ora deve solamente dimostrare. «Sentirsi sotto pressione è parte del gioco. Poi, dopo un po’, ti abitui. Ho un pallone tra i piedi da quando avevo 6 anni, da quando giocavo a futsal con il Corinthians, dove comunque sentivo tanta pressione». E poi continua senza freni: «Io, peraltro, sono una persona molto pratica: non ho rituali particolari prima di scendere in campo. Voglio solo che la partita inizi, mi dimentico che ci sono spettatori a guardare».

 

Dopo una breve chiacchierata, arriviamo nel cuore di Alexandra Road Estate, un complesso residenziale che metaforicamente potrebbe riassumere il cultural clash che un brasiliano può vivere quando si confronta con il calcio e l’universo inglese, per antonomasia rigido e disciplinato. Alexandra Road Estate è, infatti, una celebre struttura brutalista, conosciuta soprattutto per l’edificio più alto a 8 piani, con una struttura a ziggurat. Così ci siamo immaginati di ritrarre Gabriel: «Veramente, ho dovuto affrontare una disciplina rigida. Ho capito che dovevo essere concreto, come atleta e come persona. A un certo punto della mia vita, tutta l’anarchia – che caratterizzava la mia vita, ma soprattutto il modo di giocare a futsal e ad altinha – è scomparsa pian piano. Inizi a doverti prendere cura del tuo corpo, devi vivere una vita attenta e diversa, devi prenderti cura soprattutto della tua testa e non puoi fare più come vuoi»

«La moda è una mia passione – se potessi indossare solamente un brand per il resto della mia vita, quello sarebbe Louis Vuitton. Anche se ultimamente mi sto fissando con Prada»
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«La moda è una mia passione – se potessi indossare solamente un brand per il resto della mia vita, quello sarebbe Louis Vuitton. Anche se ultimamente mi sto fissando con Prada»
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Ovviamente, esiste anche un Gabi anche senza calcio, ma non è semplice tirare fuori questo alter-ego. Dal modo in cui mi parla, definirlo concentrato è riduttivo. È devoto al suo lavoro – quasi si stranisce quando gli chiedo cosa avrebbe fatto oggi se non fosse diventato un calciatore: «Non lo so, seriamente, non ne ho la più pallida idea. Tra l’altro, questa è una domanda che mi faceva spesso mio padre quando vivevo ancora in Brasile. Io gli rispondevo che non vedevo alternative di fronte a me. Quando non gioco a calcio, difficilmente penso o faccio altro. Al massimo passo del tempo con la mia famiglia e con i miei amici, oppure penso a Dior e Louis Vuitton» (ride, ndr.).

Una frase che riassume l’essenza di Gabriel Martinelli e che lo rende idoneo a entrare nella nostra serie di atleti More Than: essere qualcosa di più di un semplice calciatore che ogni settimana calpesta un terreno di gioco. Gabriel è un atleta che trasforma il suo lavoro in un metodo che esprime la sua attitudine e la sua essenza. Martinelli è un atleta che si manifesta attraverso la consapevolezza di aver trovato un equilibrio che si intreccia con un interesse ultra-espressivo come la moda. Ne parla con determinazione, senza giri di parole, come ci ha abituato sin dall'inizio dell’intervista. «La moda è una mia passione – se potessi indossare solamente un brand per il resto della mia vita, quello sarebbe Louis Vuitton. Anche se ultimamente mi sto fissando con Prada».

Ecco, tornando all’idea di disciplina, l’estetica di Prada si sposa perfettamente con l'idea di disciplina, di uniforme. Disciplina che, però, raramente riesce a prendersi una pausa. È importante, infatti, contemplare l’idea di cazzeggio? come una pausa dal rigore: «Mi diverto tantissimo con i miei compagni di squadra» (la chiama Brazilian Crew). «Specialmente con i miei fratelli brasiliani: Gabriel Magalhães, Jorginho, ma anche Cala (Riccardo Calafiori). Stimo Cala perché si veste benissimo, non me ne voglia Ben White, anche lui è super stiloso». Prosegue dicendo: «Con alcuni di loro vorrei passare più tempo insieme, ma facciamo vite completamente diverse. Sai, io ho una fidanzata, ma loro hanno dei figli, e questo cambia il loro lifestyle».

Dopo questa chiacchierata limpida, non abbiamo azzerato la distanza di conoscenza che ci separa da Gabriel, ma è stata, al contempo, così chiara da offrirci un identikit perfetto dell'atleta. Per questo motivo, non ci immagineremmo mai il futuro di Martinelli lontano dal calcio: sarebbe quasi un tradimento del suo amore primordiale. Questo lo avremmo confermato noi a prescindere, ma è lui stesso a confessarlo: «Non penso di voler diventare allenatore in futuro, ma un talent scout o un agente, quello sì. Non voglio mai abbandonare il calcio, ho solo 23 anni, ma sono abbastanza sicuro di questo». E allora non ci resta che attendere e scoprire come prenderà forma il "Brazilian footballer 2.0", un concetto che porta la firma di Gabriel Teodoro Martinelli Silva, un atleta che si sente molto a suo agio nella sua comfort zone, i cui colori carioca si sfumano un po' se osservati con gli occhi di un europeo.

 

Photographer: Boris Camaca
Stylist: Antonio Autorino
Make Up: Riona O’Sullivan
Interview: Andrea Mascia

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Full look FENDI.