3 brand che non ce l'hanno fatta
Brand che non sono riusciti a creare un heritage così forte tanto da imporsi
13 Marzo 2022
Hanno vestito grandi campioni dello sport, ma questo non è stato sufficiente a farli rimanere nella ristretta cerchia dei brand che contano. Nonostante i loro loghi siano stati appuntati sulle maglie indossate da leggende calcistiche, accompagnandoli nelle loro imprese sportive, non sono riuscite a creare un heritage così forte tanto da imporsi nel panorama italiano e poi in quello europeo. Brand che nonostante i grossi proclami, testimonial d'eccezione e grandi maglie dopo pochi anni sono svaniti nel nulla, lasciando solo un tiepido ricordo. Un ciclo inevitabile, che in Italia viene costantemente alimentato dalle costellazioni di club amatoriali, semi professionisti e scuole calcio. Infatti abbiamo visto quasi sempre nuovi brand in Serie A, alcuni prendendo il posto di altri molto lentamente, come Givova che ben presto si è accaparrata tutti i club sponsorizzati da Legea. Impossibile non citare il ruolo da protagonisti assoluti che ad oggi ricoprono Kappa e Macron che negli anni hanno rimpiazzato i vari Lotto, Erreà e Mass.
Nonostante questi brand siano pian piano scomparsi lasciando un vuoto enorme, noi di nss sports non abbiamo mai del tutto dimenticato Sportika, Warrior e Kronos. Sponsor tecnici che hanno vestito grandi club e grandi giocatori per poi smettere di realizzare kit da calcio per club professionistici.
Sportika
L’azienda fondata da Carlo Crosio nel 1982 a Ovada, nell’alto Monferrato piemontese, ha da sempre realizzato kit sportivi adatti a svariate discipline ma non era mai entrata nella sponsorizzazione di squadre di calcio di alta fascia in Italia. Invece nel 2009, quando iniziò la sua partnership con il Sassuolo, Sportika si trovò a realizzare le maglie da gioco per una delle squadre più in ascesa del panorama cadetto italiano. Stiamo parlando ovviamente del Sassuolo del patron Squinzi, che con una progettualità rara è riuscita a creare un ciclo vincente fino ad arrivare con pieno merito in Serie A. La scalata dalla C1 alla Serie A del piccolo comune emiliano è stata accompagnata dalle maglie realizzate da Sportika, che ha scelto sempre dei template molto semplici con i colori verde e nero sulla prima maglia mentre per quella away sono stati spesso scelti completi in tinta unica bianca o verde con dettagli in contrasto.
Una strategia difensiva che alla lunga non ha pagato, visto che quando è arrivato il momento di creare la prima, storica maglia indossata dal Sassuolo in Serie A Sportika ha grosso modo riadattato quelle della stagione precedente. Il logo del brand è portato dal lato sinistro al centro allineando a destra lo stemma del Sassuolo, il patch della serie A applicato sulla manica destra e il font bianco utilizzato per le parti testuali e numeriche è lo stesso della stagione precedente. I ragazzi di Eusebio Di Francesco raggiunsero una faticosa salvezza, e l’anno successivo giocarono l’ultima stagione con maglie Sportika che non apportò grandi modifiche rispetto a quelle precedentemente utilizzate.Infatti vennero solamente aggiunti dei dettagli dorati nel lettering e spostato nuovamente a lato il logo dello sponsor tecnico. Troppo poco per una squadra che stava crescendo in risultati e prestigio, che scelse quindi di separarsi da Sportika e accordarsi con un brand più esperto in kit come Kappa, una partnership durata per cinque stagioni dopo le quali il Sassuolo è passata a PUMA. Sportika nel frattempo ha continuato a realizzare alcune maglie da gioco per squadre in categorie minori, come la Reggiana, la UC Sinalunghese o l’ASD Grassina, o fuori Italia come l’Ayia Napa a Cipro e su mercati come quello albanese.
Kronos
Un altro brand che è rimasto legato ad una cavalcata di promozioni fino alla Serie A, ma che ha lasciato un ricordo migliore attraverso le proprie maglie è Kronos, che ha accompagnato la risalita del Venezia FC nella massima serie alla fine dello scorso millennio. Fondata nel 1979, l’azienda che ha sede nel vicentino raggiunse una prima notorietà non nel calcio, bensì nel basket realizzando una calzatura da gioco per il compianto Drazen Petrovic ai tempi del Real Madrid. L’arrivo in laguna invece è legato al Mestre FC, che lo sceglie come proprio sponsor tecnico 1987. Sarà una partnership perché in estate con l’arrivo di Maurizio Zamparini la squadra del continente si fonderà con i dirimpettai del Venezia che verranno vestiti da Diadora. Ma quando la squadra nella stagione 1997-98 farà il ritorno in Serie A dopo oltre trent’anni di assenza, l’azienda veneta ricevette l’onore di disegnare la maglia.
E il risultato superò le aspettative, con kit che ancora oggi sono oggetto di venerazione nella laguna. Le prime maglie, rese immortali dalle punizioni a foglia morta di Alvaro Recoba, arrivato a Gennaio in prestito dall’Inter e autore di un insperata salvezza, presentavano uno scollo a V e un leone di Venezia sul lato sinistro realizzato con il verde, il giallo e l’arancio che risaltava sul nero del back della maglia. L’anno successivo Kronos presentò una maglia che fece discutere: la base era in verde smeraldo, con strisce nere dai contorni arancioni, troppo poco per i tifosi e quindi Kronos è costretta a cambiare in corsa, optando per l’inserimento di due strisce arancioni della stessa dimensione di quelle verdi e di quella nera centrale. La stagione fu molto deludente e terminò con una cocente retrocessione, immediatamente vendicata l’anno successivo con Prandelli in panchina. Per la serie cadetta Kronos usò un templete a fasce orizzontali di diversa dimensione e colore che diventerà un classico della maglia del Venezia, ma con un curioso arco bordato arancione a dividere il collo e le maniche. Kronos non poté gioire nuovamente della promozione perché fu sostituita da Kelme e si allontanò dal mondo del calcio, dopo che aveva realizzato anche degli scarpini personalizzati per Hristo Stoichkov, Abel Balbo e Gabriel Omar Batistuta.
Warrior
Quando nel 2012 il Liverpool scelse di abbandonare adidas dopo soli sei anni molti furono sorpresi, ma nessuno poteva immaginare che i Reds avrebbero firmato con Warrior, un brand sconosciuto nel mondo del calcio. Fino a quel punto infatti il brand nato e specializzato nella produzione di articoli sportivi di hockey su ghiaccio e lacrosse non aveva ancora realizzato un kit per una squadra professionista e il primo suo contratto fu con una delle squadre europee più blasonate. La voglia di immergersi nel mondo del calcio arrivò probabilmente grazie alla spinta di New Balance, che nel 2007 aveva incorporato il gruppo a cui faceva capo Warrior, progettando forse già anni prima la sua attuale ascesa nel mondo del calcio in prima persona. Oggi infatti il brand fondato da William Riley occupa un ruolo di rilievo nel calcio, sponsorizzando formazioni come Porto, Roma e Bilbao, ed è stato il kit supplier dei Reds per cinque anni prendendo il posto proprio di Warrior.
Come dicevamo tutto ebbe inizio nel 2012 nella città dei Beatles con un’offerta monstre di 25 milioni di sterline spalmati su sei anni - un accordo che all'epoca era tra i più remunerativi del settore. Warrior per l’esordio decise di andare sul sicuro rispolverando il Liver Bird con le lettere LFC, stemma utilizzato sulle maglie negli anni ’70 e ’80 e presente ancora oggi. L’altro importante cambiamento che apportarono al kit di casa fu quella di non includere nessun elemento in bianco, la prima volta ed unica volta che accadde nella storia del Liverpool. Ma l’exploit di Warrior si registrò nella stagione successiva, quando oltre a proporre dei kit unici per il Liverpool prendendo ispirazione da quelli creati da Umbro nei primi anni ’80, il marchio fondato da David Morrow stupì tutti diventando fornitore tecnico del Siviglia.
Proprio in quegli anni il club andaluso viveva uno dei suoi momenti sportivi migliori fuori dai confini europei, tantoché nel 2014 regalerà a Warrior il primo importante successo con la vittoria in Europa League. Purtroppo però nel suo primo anno a Siviglia, Warrior non riuscirà a replicare quanto fatto con il Liverpool il brand snaturando la prima maglia aggiungendo alla classica divisa bianca una striscia verticale, utilizzata dagli andalusi solo in rare occasioni. La vittoria europea con il Siviglia consentì però a Warrior di farsi conoscere ulteriormente, allargando sempre di più i suoi confini, fino ad arrivare in Portogallo dal Porto e poi sfiorando il sogno di vestire la Roma, che proprio in quegli anni era indecisa se proseguire con la strada dell’autoproduzione o affidarsi ad uno sponsor tecnico. Ma proprio nell’anno in cui Warrior stava vedendo la popolarità, i profitti e il club sponsorizzati aumentare, il gruppo decise di percorrere un’altra strada, dando il via all’ascesa di New Balance che dalla stagione successiva sostituì Warrior.